Dopo una prima serata che ha diviso il pubblico tra entusiasmo e perplessità, il secondo appuntamento con il Festival di Sanremo 2025 continua a regalare conferme e qualche sorpresa. Ecco le nostre impressioni sulle esibizioni della seconda serata all’Ariston.
Le Nuove Proposte: conferme e rivelazioni
ALEX WYSE “Rockstar” – Ci sono brani che svaniscono dopo un paio di ascolti e poi ci sono quelli che resistono, anzi crescono. Questo pezzo appartiene alla seconda categoria. È un classico senza tempo, sincero e ispirato, che arriva dritto al cuore senza scorciatoie. La vocalità ruvida e viscerale di Alex fa il resto: trasforma la canzone in poesia pura.
VALE LP & LIL JOLIE “Dimmi tu quando sei pronto per fare l’amore” – Due voci, due universi, un incastro che funziona… quasi. Il dualismo è interessante, il messaggio importante e necessario ma regge davvero il peso della competizione? A nostro avviso il verdetto della prima manche è più che giusto.
MARIA TOMBA “Goodbye (voglio good vibes)” – Astuta, preparata, perfettamente consapevole di come stare su un palco. La performance c’è, ma il brano? Meno incisivo rispetto a quello del suo compagno di etichetta in sfida diretta con lei. Quando si alza l’asticella, servono canzoni che graffiano di più.
SETTEMBRE “Vertebre” – A nostro avviso, il vincitore di Sanremo Giovani, ma diciamolo: se fosse stato in gara tra i Big, con un brano così, avrebbe dato del filo da torcere a molti. Il talento c’è, il pezzo pure.
I Big in gara
ROCCO HUNT “Mille vote ancora” – Il testo è onesto, sentito, e si percepisce che Rocco ci crede. Ma c’è un problema: musicalmente qualcosa non torna. Il brano si scontra con se stesso, timbricamente mette in gioco colori che contrastano con l’urgenza emotiva del messaggio. Manca il colpo d’occhio sonoro, quello che trasforma un pezzo in un manifesto.
ELODIE “Dimenticarsi alle 7” – Decisamente più sicura rispetto alla prima serata, con più trasporto e sensualità. Ma il problema resta: quando hai un brano che non valorizza appieno il tuo potenziale, puoi metterci tutta la presenza scenica del mondo, ma non basta. La struttura della canzone sembra più un ostacolo che un trampolino.
LUCIO CORSI “Volevo essere un duro” – Sanremo è una bestia strana: tutti lo chiamano il Festival della Canzone Italiana, ma è prima di tutto uno spettacolo televisivo, con le sue regole e i suoi codici. E qui nasce il dilemma: se esordisci all’Ariston come outsider, devi cavalcare questa dimensione, renderla un punto di forza. Stasera, invece, è mancata proprio quella scintilla visiva e narrativa che avrebbe potuto rendere l’esibizione un’esperienza più potente. Per emergere in un contesto del genere, non basta la musica.
THE KOLORS “Tu con chi fai l’amore” – Stash ha una voce che non si discute, ma stasera ci è balzata in testa un’immagine folgorante: questo pezzo, in duetto con Malgioglio. E sapete una cosa? Sarebbe una bomba.
SERENA BRANCALE “Anema e core” – Sarà l’ora, sarà la stanchezza accumulata dopo una dura giornata di lavoro qui a Sanremo, ma stasera un brano così ce lo siamo goduti senza riserve. Lei, come performer, è inattaccabile. Il pezzo? Dipende dall’umore: a tratti colpisce come un pugno, a tratti sfiora come una carezza. Po’ esse ferro, po’ esse piuma. E proprio lì sta il suo gioco.
FEDEZ “Battito” – Più lo ascoltiamo, più ci entra sotto pelle. Questo brano ha un’urgenza che pulsa, un messaggio che non si limita a colpire, ma arriva come un pugno nello stomaco. Travolge, demolisce. Ed è forse proprio questa sua natura inquieta e ossessiva a renderlo fuori contesto, quasi irrisolto. Un passaggio di testimone tra tormenti che si rincorrono. Anche il look di Federico segue questa scia: meno curato, più crudo, quasi sciattamente intenzionale. Un riflesso fedele di una fase turbolenta che si materializza nella musica.
FRANCESCA MICHIELIN “Fango in Paradiso” – Da Nessun grado di separazione a sei gradi di distanza da un brano che lasci veramente il segno. Qui siamo davanti a una minestra riscaldata che non aggiunge nulla al percorso musicale di Francesca, non apre nuovi scenari, non sorprende. Un loop che sa di criogenesi artistica: tutto fermo, tutto immobile, in attesa di un risveglio che – per ora – non arriva.
SIMONE CRISTICCHI “Quando sarai piccola” – Forse, alla fine di questa settimana, esauriremo tutte le lacrime versate ad ogni sua esibizione. O forse no. Perché quando un tema così potente incontra un’interpretazione così viscerale, non si può restare impassibili. Il suo è un rito collettivo di emozione pura, un richiamo alle cose vere della vita, quelle che troppo spesso sfuggono. Per questo – e per molto altro – dobbiamo dire grazie a Cristicchi. Il podio sembra già scritto… e forse… qualcosa di più?
MARCELLA BELLA “Pelle diamante” – Con una carriera come la sua, il ritorno a Sanremo avrebbe meritato un brano all’altezza del nome che porta. Nulla da dire sul messaggio – viva il Girl Power, sempre – ma c’è modo e modo di manifestarlo. E qui, forse, si poteva scegliere una strada più elegante e incisiva.
BRESH “La tana del granchio” – Decisamente più centrato, rilassato e comunicativo rispetto alla prima serata. Sul palco si muove con naturalezza, senza forzature. In questo Festival, la sua canzone è come se fosse – per stile e soluzioni – il “dark side” del brano di Olly ma con molto meno hype. Eppure, onestamente, quasi quasi… ci convince di più.
ACHILLE LAURO “Incoscienti giovani” – La traiettoria è chiara, ma non ancora del tutto a fuoco. Lauro è un artista che divide, ma anche per questo resta imprescindibile. La sua direzione artistica è in evoluzione e, trovando il giusto assetto, può ambire a qualcosa di ancora più grande, un posto nell’Olimpo della musica. Intanto, su una cosa non ci sono dubbi: in questa edizione si piazzerà molto in alto.
GIORGIA “La cura per me” – Esibizioni come questa creano uno spartiacque: c’è Giorgia, e poi c’è tutto il resto. Punto. La voce è una certezza assoluta, ma qui c’è di più. Il brano, pur con quell’assonanza che richiama Dalla, è scritto bene, emoziona e trasmette energia senza filtri. E quando una canzone incontra un’interprete capace di trasformarla in pura comunicazione emotiva, il risultato è inevitabile: impatto totale. Il gradino più alto del podio è sempre più vicino.
RKOMI “Il ritmo delle cose” – Un brano che meriterebbe il podio… nell’*Upside Down*.
ROSE VILLAIN “Fuorilegge” – Presenza scenica e qualità vocale indiscutibili: solida, performante, sicura. Ma il brano? Un labirinto sonoro che non trova un filo conduttore. Appena entri nel flow, tutto cambia: ritmo, scena, atmosfera. È destabilizzante, una festa esclusiva… a cui nessuno sembra davvero invitato. Peccato, perché lei ha tutto per spaccare. Mancano solo le canzoni giuste.
WILLIE PEYOTE “Grazie ma no grazie” – Necessario? Assolutamente sì. Soprattutto in questo punto della scaletta, arriva come una scossa. Che presa a bene! Più lo ascoltiamo, più è chiaro: questo brano finirà dritto nelle playlist dei club. E ci resterà a lungo.