Dopo una settimana di esibizioni, attese, polemiche e ripensamenti, il Festival di Sanremo 2025 chiude i battenti con la sua serata finale, il momento in cui tutto si decide e ogni dettaglio diventa cruciale.
Alcuni pezzi hanno saputo crescere giorno dopo giorno, altri invece sono rimasti immobili, senza guizzi, senza sorprese, senza quel qualcosa che li rendesse davvero memorabili. La finale è sempre il banco di prova definitivo: chi ha mantenuto il livello? Chi ha sorpreso all’ultimo momento? Chi ha definitivamente perso la sfida?
Nonostante il Festival abbia regalato una competizione accesa, in alcuni casi si è sentita una certa stanchezza, un’involuzione rispetto alle esibizioni precedenti, quasi come se alcuni artisti avessero finito la benzina prima del traguardo. Al contrario, qualcuno ha saputo dare tutto nel momento decisivo, portando sul palco la versione migliore di se stesso.
Ecco le nostre pagelle della serata finale di Sanremo 2025
FRANCESCA MICHIELIN – FANGO IN PARADISO – Dopo un’intera settimana di Festival, l’ascolto del brano si è evoluto? No. La nostra valutazione resta esattamente la stessa. È naturale affezionarsi ai momenti condivisi in un viaggio breve ma intenso come Sanremo, perché alla fine siamo tutti sulla stessa barca. Ma, con onestà, cosa resterà di questo brano una volta calato il sipario? Molto poco.
WILLIE PEYOTE – GRAZIE MA NO GRAZIE – Si balla, ci si celebra, ci si diverte. E noi, con questo brano, ci divertiamo tanto. Un’esibizione godibilissima, che funziona proprio perché si prende il suo spazio senza troppe pretese. E forse è proprio questo il suo punto di forza: leggerezza intelligente e ritmo coinvolgente.
MARCELLA BELLA – PELLE DIAMANTE – Nonostante il viaggio sanremese, questo brano proprio non riesce a convincerci. Nulla da dire su Marcella, che resta una forza artistica prorompente e solida, ma il pezzo è semplicemente troppo esile rispetto al suo talento e alla sua storia. Al di là del significato, manca quel guizzo che renda giustizia alla sua voce e al suo spessore.
BRESH – LA TANA DEL GRANCHIO – Un pezzo di cuore per Bresh, e si sente. Non è un brano prorompente, ma convince per la sincerità e la coerenza con il percorso che ha costruito in questo Festival. Misurato, elegante, schietto e vissuto con autenticità, ha saputo conquistare gradualmente, giorno dopo giorno. Un viaggio senza eccessi, ma con una credibilità conquistata sul palco che lascia ad ogni esibizione un piccolo segno.
MODÀ – NON TI DIMENTICO – Costanti dall’inizio alla fine, nonostante l’infortunio di Kekko. Professionalità indiscutibile, ma anche tanto mestiere. Il problema è che tutto appare fin troppo controllato, quasi asettico. Manca quella spontaneità che rende un’esibizione davvero coinvolgente, quel senso di divertimento che traspare quando un artista è pienamente dentro il proprio pezzo. Qui, invece, tutto è eseguito bene, ma senza quella scintilla che accende l’emozione.
ROSE VILLAIN – FUORILEGGE – La personificazione dello stile. Qualsiasi cosa faccia, cattura lo sguardo con la sua gestualità e capacità comunicativa, andando oltre l’oggettiva bellezza. Ma tutto questo appartiene al piano visivo. A livello musicale, il brano non funziona. La struttura è complessa, difficile da seguire e, soprattutto, esclusiva: un dance party privato a cui nessuno sembra davvero invitato. Un vero peccato, perché l’impatto estetico non può e non deve sostituire la sostanza di un pezzo.
TONY EFFE – DAMME ‘NA MANO – Più si esibisce, più la situazione precipita. Tony Effe sembra aver perso completamente fiducia in sé stesso: non crede nel pezzo, non lo sente, non lo comunica. Sul palco appare distante, quasi rassegnato, come se non vedesse l’ora che tutto finisca. E in effetti, per lui, Sanremo finisce qui.
CLARA – FEBBRE – In questa ultima esibizione la voce sembra un po’ sottotono, ma con determinazione riesce a riprendere il controllo e a raddrizzare il tiro. Il brano è solido, ha il potenziale per funzionare benissimo in radio e sulle piattaforme, complice anche la forte personalità di Clara, che sa come attrarre e lasciare il segno.
SERENA BRANCALE – ANEMA E CORE – Forse l’unico brano che continuerà a suonare anche quest’estate, grazie alla sua naturale predisposizione a diventare un classico senza tempo. Serena Brancale sta costruendo un percorso solido, e qui dimostra tutta la sua capacità di fondere tecnica impeccabile con una musicalità popolare immediata e coinvolgente. Un’interpretazione che lascia un’impronta nostalgica nella melodia, trasformando ogni esibizione in una grande festa che vorresti non finisse mai.
BRUNORI SAS – L’ALBERO DELLE NOCI – La voce di Dario è semplicemente unica nel panorama italiano. Non c’è nulla da fare: riesce a insinuarsi nelle pieghe più intime delle nostre fragilità, portando luce anche nei punti più bui. È terapeutico, avvolgente, necessario. Un’interpretazione che lascia il segno, che consola e che smuove. Quindi BIS, per favore!
FRANCESCO GABBANI – Di Gabbani ci piacciono tante cose, prima fra tutte la persona che è: risolto, ispirato, comunicativo. Ed è proprio per questo che la domanda sorge spontanea: perché questo brano? Capiamo l’intento, la necessità del momento, ma serviva qualcosa di ben più incisivo. Ci ripetiamo, ma la sensazione resta la stessa: sembra il brano dei titoli di coda di un film che non è ancora stato scritto fino in fondo. Non so se ci spieghiamo.
NOEMI – SE T’INNAMORI MUORI – Solo i veri nerd del Festival si ricorderanno che Noemi ha partecipato a questo Sanremo25. Il problema? Il brano si spegnerà insieme ai riflettori della kermesse. Troppo stretto per una vocalità così imponente, troppo carico nell’arrangiamento, soffocante anziché esaltante. Quando hai una voce di questa portata, devi lasciarle spazio, non chiuderla in una struttura che non le rende giustizia. Un’occasione sprecata.
ROCCO HUNT – MILLE VOTE ANCORA – Tra i brani che più sono cresciuti durante la settimana. Ad ogni ascolto si insinua sempre di più, coinvolge, guida e sorprende. Una capacità che, forse, non gli avevamo ancora attribuito ma che ora dobbiamo riconoscergli senza esitazioni. Questa sera, davvero bravo.
THE KOLORS – TU CON CHI FAI L’AMORE – Brano dal forte impatto ritmico, capace di rianimare l’atmosfera in un attimo. Il problema? L’effetto è immediatamente quello del trenino di Capodanno. Dovremmo aver reso l’idea.
OLLY – BALORDA NOSTALGIA – Artista amatissimo, con un hype che forse supera la reale qualità del brano e della performance portata su questo palco. Il suo appeal è indiscutibile e fin dal primo minuto abbiamo riconosciuto che avrà un percorso lungo e fruttuoso. Ma sarebbe poco professionale non sottolineare che ha ancora del lavoro da fare su alcune criticità tecniche ed espressive, necessarie per elevarlo al livello di vero protagonista della musica italiana. Noi non siamo fan, siamo ascoltatori attivi e premurosi. E proprio per questo, ci aspettiamo di più.
ACHILLE LAURO – INCOSCIENTI GIOVANI – Un brano che arriva tardi, che ad ogni ascolto svela sempre di più lo stile ribelle e fuori dagli schemi che è il manifesto di Lauro. Piace, coinvolge, perché l’idea di ribellione seduce qualunque generazione: è il sogno nascosto di ognuno di noi. Ma la vera domanda è: quanta forza c’è realmente nel brano e quanta è semplicemente figlia del personaggio Achille Lauro? Noi crediamo di saperlo.
COMA_COSE – CUORICINI – Un brano che fa ballare e diverte, senza troppe pretese. E forse va bene così, perché di spensieratezza ce n’è davvero un gran bisogno. Quindi, W i Coma_Cose, il vero tormentone di Sanremo25. E anche l’unico.
GIORGIA – LA CURA PER ME Sicuramente nella cinquina finale e, per noi, meriterebbe il gradino più alto del podio. Un’artista di un altro pianeta, e questo brano – riferimenti artistici a parte – ha il merito di valorizzare la sua vocalità. Esattamente quello che non è successo con Noemi. Ora è chiaro cosa intendevamo? Il nostro sogno perfetto: vedere Giorgia trionfare sul palco dell’Ariston e accedere all’Eurovision, trampolino di lancio per una carriera internazionale che merita e che tutti aspettiamo da tempo. E poi ci svegliamo tutti sudati.
SIMONE CRISTICCHI – QUANDO SARAI PICCOLA – Sul brano abbiamo già detto tutto. Il tema è reale, urgente, toccante. Ma, purtroppo, è innegabile che l’uomo tenda all’assuefazione emotiva, sia nella gioia che nel dolore. Al terzo ascolto l’impatto si affievolisce. E questo non è certo colpa di Simone Cristicchi, ma delle dinamiche televisive del Festival di Sanremo, dove la ripetizione può smorzare anche le emozioni più forti.
ELODIE – DIMENTICARSI ALLE 7 – Elodie è una delle artiste con più personalità della nostra scena musicale, eppure questo brano, come già detto, è anonimo al punto da rendere quasi irrilevante la sua partecipazione. Non lascia il segno, non aggiunge nulla alla sua carriera, né in positivo né in negativo. E un’artista come lei non merita questo. Sarebbe stato davvero bello poterla vedere a rappresentare l’Italia sul palco dell’’Eurovision.
LUCIO CORSI – VOLEVO ESSERE UN DURO – Chi non si immedesima nel testo di questo brano? Poetico, delicato, capace di trasportarci in un’altra dimensione con naturalezza disarmante. Lucio Corsi è tutto questo, la vera rivelazione di questo Festival. Grazie di esistere.
IRAMA – LENTAMENTE – Irama è un Artista con la A maiuscola, su questo non si discute. Ma questo brano è tosto da digerire, sia per la scrittura che per l’interpretazione. Intenso, denso, ma anche pesante, quasi soffocante nel suo incedere. Un pezzo che chiede attenzione, ma che rischia di risultare eccessivamente carico per arrivare davvero a tutti.
FEDEZ – BATTITO – In questa ultima esibizione appare più sciolto, sicuro, presente sulla scena. E normalmente sarebbe un bene. Eppure, qualcosa si perde. La staticità e l’insicurezza delle precedenti esibizioni restituivano al brano un’intensità inquieta, rabbiosa, irrisolta – perfettamente in linea con il suo significato intrinseco. Oggi sembrava risolta. Più sciolto, sì, ma meno incisivo. Meno vero.
SHABLO – LA MIA PAROLA – Il sound è quello giusto, il flow è di quelli veri, l’operazione funziona bene e seduce ad ogni ascolto anche un pubblico lontano da questo genere. Bravi.
JOAN THIELE – “Eco” – Tanta qualità per questa Artista che porta sul palco dell’Ariston uno stile Pulp alla Goodnight Mood di Shivaree creando un’ipnosi collettiva.
MASSIMO RANIERI TRA LE MANI UN CUORE – A quest’ora suona quasi bene, ci trasporta in un club notturno, fumoso, in bilico tra passato e presente. La sua voce permea le nostre anime, attraversando ogni generazione come se superasse firewall emotivi. Ranieri è un suono familiare per tutti. A lui gli si vuole bene, al brano… un po’ meno.
GAIA – CHIAMO IO CHIAMI TU – Look da Lady Gaga nostrana e conferma di una vocalità e un’interpretazione sempre solide. Il brano funziona, pur senza essere rivoluzionario, grazie ad un refrain efficace e un gancio perfetto per TikTok. Tra i pochi pezzi di questo Festival che, con ogni probabilità, continueremo a sentire almeno fino all’estate.
RKOMI – IL RITMO DELLE COSE – Un brano con carattere e un’identità ben riconoscibile, quasi unica, grazie all’uso distintivo delle vocali aperte. Affascina, è innegabile. Ma manca qualcosa nella scrittura: un respiro più cinematografico, una narrazione che esprima appieno il forte potenziale del pezzo. L’idea c’è, ma la storia non prende ancora del tutto vita. Non sedimenta.
SARAH TOSCANO – AMARCORD – Non sappiamo più cosa scrivere. Il brano non è semplice da sostenere fisicamente, e lei fatica a mantenerlo omogeneo dall’inizio alla fine. La personalità artistica è ancora acerba, rimane dietro al brano, che di per sé non è un capolavoro. Il risultato? Un assaggio di quello che potrebbe diventare tra qualche mese o anno. Alto potenziale, ma non ancora sbocciato.