XHU: Il gioco è costringere a chiedersi Ma cosa avranno detto?

Xhu

E’ uscito il 22 maggio per MArteLabel e Collettivo CerchiNheven, il primo singolo degli XHU. Noi ci siamo fatti spiegare nel dettaglio questo interessantissimo progetto, perché gli XHU cantano in una lingua molto particolare… per saperne di più leggi la nostra intervista qui di seguito!

Xhu

La caratteristica principale ed esclusiva del progetto è sicuramente la forma comunicativa. La band canta in una lingua di fonemi, la lingua Xhu, da cui prende il nome, nata inizialmente come codice solo visivo ma con il tempo sviluppato in fonemi a metà tra il simbolico e il sonoro. Una lingua concepita partendo dal gusto pittorico e non dal rigore logico di un linguista, curata nel visivo e che continua a svilupparsi su questo intento, tra significato, senso e suono. Lo Xhu è una scrittura basata su crittogrammi e ideogrammi, con corrispondenti fonemi per ogni segno e simbolo. Questo permette oggi di scrivere a parlare in lingua Xhu. Sul sito della band è possibile trovare una vera e propria grammatica di questo codice primitivo.

Dal punto di vista sonoro i fonemi permettono di fondere lo strumento vocale con quello musicale per dare vita ad un’unica pasta sonora ed emotiva. Il risultato è un sound fortemente evocativo. Nheven è il tentativo di sintetizzare in un unico brano e in modo non banale, diversi mondi musicali, molteplici sfere sonore: è possibile rintracciare sfumature del rock melodico, orecchiabilità del pop, tracce elettroniche.

Se dovessimo definire in un genere quello che gli XHU fanno e che veicolano in questo primo singolo, potremmo sicuramente definirlo new wor(l)d.  Ha molteplici riferimenti: dentro si rintracciano riferimenti alla world music, non nell’accezione più comune che ha, ma come musica influenzata dal mondo, dalle esperienze. La maggior parte delle produzioni della band provengono dai viaggi di Alessandro in Europa, Asia, Africa, Medioriente. I suoni come mappa del mondo. Come tracce di una geografia umana. C’è poi un riferimento a qualcosa di nuovo, un modo che si vuole scoprire, una realtà musicale che stiamo sperimentando.  rintracciano sfumature rock, una presenza costante dell‘elettronica, la noise, l’industrial. C’è una contaminazione di tutto questo Nheven è un invito alla gioia, al lasciarsi andare. Al sentire, nel senso di percepire a pieno quello che ci circonda.

XHU è una band. Un progetto di ricerca sonora con l’intento di proporre una visione alternativa della musica; un laboratorio in cui sperimentare nuove soluzioni ritmiche e sonore, attraverso un linguaggio inedito e rivoluzionario. Uno spazio nato dalla necessità di Alessandro Capasso di fondere in una band la produzione artistica fluita all’interno delle Lab sessions, format audio-visivo curato e prodotto dal Collettivo Cerchi, fondato dallo stesso Alessandro nel 2014; Il Collettivo è un’officina di ricerca creativa di più arti, in cui la musica fa da mastice/collante universale. Xhu è anche un codice espressivo, in origine solo visivo, ma che con il tempo e la ricerca si è evoluto fino a diventare fonetico, quindi trasmissibile oralmente. Un nuovo idioma generato da grafemi prima inesistenti, una scrittura primitiva con una propria grammatica coerente e un corrispondente apparato fonetico. Ogni testo viene composto e cantato in lingua Xhu, da cui la band prende, appunto, il nome.

​L’esclusività del progetto e la sua innovazione sta proprio nella forma espressiva utilizzata. Alessandro Capasso ha dato vita ad una vera e propria grammatica, un linguaggio, una forma di comunicazione rivoluzionaria. In principio nata come l’esperimento di un bambino per nascondere agli altri i propri pensieri, anche se lasciati sotto gli occhi di tutti, divenuta poi un sistema comunicativo più complesso. Dopo anni di lavoro su crittogrammi e ideogrammi si è arrivati ad una maturazione tale dello Xhu, da rendere possibile scriverlo e parlarlo. Un linguaggio concepito da un bambino, che si è evoluto anche sulla base delle suggestioni, degli esperimenti, delle empatie provenienti dal percorso di maturazione e crescita di un individuo. In tutta Europa e forse anche oltre, attualmente, non esiste un progetto artistico che sia spinto in una sperimentazione espressiva così profonda e radicale, arrivando a sovvertire la forma di comunicazione più elementare e istintiva che è il linguaggio. Né esiste, o quantomeno non è mai stato pubblicato, un tentativo di dare vita ad una nuova forma di linguaggio come questo, con una grammatica e una struttura che ne permette la traduzione e l’utilizzo.
Il sound degli XHU è fortemente ispirato da artisti come Peter Gabriel, Genesis, TV on the Radio e altri nomi della scena world rock mondiale. Ma a plasmare più di ogni cosa il suono sono le suggestioni sonore raccolte in giro per il mondo, durante gli innumerevoli viaggi di Alessandro. Le diverse sfumature che è possibile rintracciare nei brani degli XHU hanno radici proprio nei luoghi fotografati, filmati, ripresi e custoditi in questi viaggi di ricerca-azione. Africa, India, Cina, Medioriente, Europa. Un’unica rotta: il loro suono, la loro matrice sonora.

Non è possibile riassumere in un unico genere il sound della band. La matrice è sicuramente l’elettronica, ma nell’accezione più ampia del termine. Se elettronica definisce l’utilizzo della tecnologia a favore della composizione musicale e della “sintetizzazione” del suono allora gli XHU sono un gruppo di musica elettronica; con la capacità però di dialogare contemporaneamente con elementi multipli, dai futuristi synth fino alle vibrazioni profonde e ancestrali di legni, ottoni, tamburi. Alessandro sperimenta costantemente l’utilizzo di oggetti apparentemente lontani dall’ iconografia musicale, ma che possono essere reinventati e impiegati sotto nuova forma, come ad esempio le macchine da scrivere. La musica degli XHU è una alchemica miscela: Rock, Pop, World Electro e tanta sperimentazione. L’impronta è quella della contaminazione sonora. Il suono come mappa del mondo ha portato a mettere, in tutti i brani, in scontro e in tensione, sonorità estreme, diverse, facendole convivere nello stesso arrangiamento, cercando sempre il comfort orecchiabile e musicale. L’utilizzo degli archi accompagna i “riff” di chitarre . Synth analogici impastati con frequenze puramente digitali; il tutto con una cura maniacale del ritmo, della modulazione, dell’emozione semplice e potente.
Il sound degli Xhu, insieme all’utilizzo cantato dei fonemi, restituisce al pubblico un’esperienza sensoriale unica che si sintetizza in una pasta emotiva e musicale senza precedenti.

Gli XHU sono Alessandro Capasso, Gian Marco Libeccio, Francesco Lapenna, Marco Sorrentino e Armando Taranto. Noi li abbiamo intervistati per voi! Leggi qui sotto!

Xhu

XHU non solo è il nome della vostra band, ma è anche la lingua con cui scrivete e cantate i vostri brani. Vuol dire qualcosa?

Prima di rispondere vorrei dire che sono ancora un po’ stupito della quantità di volte in cui, in quest ultimo periodo, mi capita di trovarmi di fronte a questa domanda. Nel senso che quando lo Xhu ha iniziato a prendere forma nella mia testa non immaginavo che mi sarei poi trovato a doverlo spiegare. Principalmente perché l’incontro con i primi “segni” è avvenuto più per l’esigenza di disseminare in giro simboli che nessuno potesse comprendere, che per il desiderio di creare un nuovo linguaggio comprensibile ai più. Probabilmente all’inizio il cosiddetto feedback non mi interessava neanche. Quindi va detto che negli anni non si è evoluta solo la lingua, passando da semplici grafemi all’associazione di fonemi, ma è mutato anche la natura dello Xhu, soprattutto per me. Da simbologia dentro cui nascondermi, è divenuto un nuovo modo di comunicare. Una comunicazione con una logica diversa da quella delle lingue canoniche dove l’elemento principale è riuscire ad essere più chiari possibile, veicolare un messaggio diretto, senza cadere nelle interpretazioni. Lo Xhu è l’opposto. Non mi interessa che il pubblico, l’ascoltatore, traduca quello che i fonemi significano, mi interessa quello che accendono, che immagini riportano, quale effetto sinestetico producono. XHU significa “passaggio”, “transito”. E questo passaggio è avvenuto anche e soprattutto per la lingua, che ha transitato dentro di me fino a prendere nuova muta e finire nei testi delle mie canzoni. Ho pensato fosse coerente che la band, che racconta tutto questo, portasse il nome della lingua da cui nasce e anche perché la band stessa è forse uno degli step che la lingua, durante il suo passaggio, doveva incontrare.

Come si può tradurre il testo di una vostra canzone?

Per ora ci piace l’idea che chi ascolta una nostra canzone possa incuriosirsi e mettersi a cercare informazioni su questo nostro particolare approccio alla costruzione di un testo. Il gioco è proprio questo costringere le persone a chiedersi – Cosa avranno detto? – ; la risposta alla tua domanda è nella domanda stessa in fondo. Già ponendosi la domanda , in qualche modo, si sta traducendo una nostra canzone. Più che di “significato” qui si parla di “significante”; è quello che cerchiamo di veicolare. Sottrarre ad una canzone un testo “comprensibile” , proporre la voce come se questa fosse solo uno “strumento sonoro” concede all’ascoltatore la possibilità di essere artefice di una propria suggestione da associare al flusso sonoro. Il più delle volte, quando si ascolta davvero una nostra canzone, la suggestione che ne deriva è quasi la stessa che ha spinto noi alla composizione musicale e alla scelta dei foni e fonemi da cantare. Quindi, ti rispondo adesso, una nostra canzone la “traduci” chiudendo gli occhi e raccogliendo dentro di te le tracce di ciò che stai ascoltando.

Nheven è il vostro primo singolo. Cosa significa Nheven e di cosa parla?

Se per significato intendiamo cosa veicola allora ho una risposta. Nheven, in lingua Xhu, evoca lo stare “insieme”, ma poiché i grafemi e i rispettivi fonemi non hanno un significato solo e univoco possiamo associare a Nheven anche il significato di quello che per noi rappresentano i termini “unione”, “sincrono”, “contemporaneamente”. Sembrano parole distanti ma in realtà vengono da una stessa matrice. Se ci pensi una cosa avviene in “sincrono” o “contemporaneamente” solo quando in qualche modo avviene un incontro, un’ unione che genera una connessione. “Insieme” quindi acquisisce un’ accezione più profonda, più intrinseca di quella che magari rappresenta il termine nella nostra lingua. Nel videoclip del brano abbiamo cercato in qualche modo di rappresentare nel visivo proprio questo: la sorpresa del ritrovarsi insieme, la gioia dello scoprirsi in sincronia con gli altri, del dar vita a qualcosa contemporaneamente. Abbiamo scelto come primo singolo un brano dal sound più immediato, che abbraccia con più facilità il pubblico, il tentativo è quello di somministrare all’ascoltatore, un po’ alla volta, il nostro progetto. Mi rendo conto io per primo che la scelta di abbandonare un linguaggio comprensibile rende tutto molto complesso, per questo con il primo singolo abbiamo pensato di portare gradualmente chi ascolta ad entrare in contatto con questo mood che inevitabilmente va in “controtendenza” ed è sicuramente un po’ ambiziosa.

Come mai l’esigenza di esprimersi in una lingua diversa dall’italiano o dall’inglese?

In un’ intervista qualcuno mi ha chiesto Perché vuoi complicarti la vita? Premettendo che questo per me resta e sarà sempre prima di tutto un gioco, il tentativo creativo di divertirsi con la musica e con le cose (nessuno di noi ha mai pensato di voler diffondere il verbo Xhu), di solito rispondo ricordando la storia dell’arte e come questa si sia evoluta attraverso il tentativo continuo di superare confini e limiti legati a precisi periodi storici e culturali. La generale tendenza dell’arte del Novecento a superare una rappresentazione fotografica della realtà trova uno sviluppo radicale nell’astrattismo per esempio, che abbandona ogni intento figurativo e si indirizza verso una pittura di forme pure che danno vita nuovi linguaggi, paragonabili a quello della musica, perché comunicano direttamente un’esperienza interiore, non razionale, non mediata dagli oggetti. Perché mai Kandinsky avrebbe dovuto ridurre in semplici linee e punti un paesaggio? Perché non dipingerlo così com’è? Probabilmente perché quel paesaggio così com’è già esiste, è già li, probabilmente perché piuttosto, voleva raccontare come quel paesaggio nella sua mente prendesse forma. La lingua Xhu fa un po questo, crea dentro di noi un nuovo codice emotivo e irrazionale e semplicemente noi abbiamo preferito questo codice alla lingua italiana o a qualsiasi altra.

Ci sono dietro anche studi di altre culture e lingue (ad esempio orientali?)

C’è uno studio certo. Una ricerca che ha coinvolto più persone e che negli anni ha assunto sempre più un carattere scientifico. Sono stati condotti dei veri e propri “quasi-esperimenti” in cui ho sottoposto a soggetti diversi alcuni segni e simboli Xhu chiedendo di associare ad essi dei semplici foni o più complessi fonemi; numerosi suoni di quelle sperimentazioni fanno parte oggi del sistema fonetico Xhu. D’altra parte, numerosi sono stati i viaggi che sono diventati “ricerc-azioni” in giro per il pianeta di segni, simboli, grafemi. La lingua Xhu è una lingua che parte dal visivo; segni e simboli che si sono evoluti intorno alla figura del cerchio, la scrittura cuneiforme e il senso estetico delle scritture orientali. C’è di sicuro, dal punto di vista estetico un particolare ammiccamento alle linee cinesi/tibetane e nell’architettura e anche nella costruzione del periodo, un riferimento esplicito alle scritture mediorientali. Il tutto rivisitato in una chiave più contemporanea; molti i riferimenti anche all’arte astrattista del 900.

Invece per quanto riguarda l’aspetto musicale, che influenze avete?

I brani degli Xhu sono vere e proprie pellicole sonore su cui cerchiamo di imprimere tutta la musica che ci attraversa. La nostra fortuna sta nel fatto che ogni componente della band viene da percorsi musicali diversi, le nostre sessioni di prova sono dei veri e propri laboratori di fusione di questi diversi linguaggi musicali che ci caratterizzano. I brani degli Xhu nascono da mie suggestioni sonore che sottopongo agli altri e che da questo momento mutano, sulla scia di quello che percepiamo sia come singoli musicisti che come unico orecchio. Gli arrangiamenti sono frutto del transito delle idee di tutti quanti. La musica a noi piace tutta. E tutta la musica cerchiamo di raccontare.

Il vostro album uscirà in autunno. Ci sarà poi un live tour?

In realtà non abbiamo ancora definito una data d’uscita precisa, non perché non ci sia materiale a sufficienza (di quello in realtà ne abbiamo anche troppo) ma perché vogliamo arrivare al disco con calma, senza la fretta di dover uscire a tutti i costi in determinati tempi. Se prima ho detto che la lingua Xhu ha vissuto una fase di transito, adesso quella fase la sta attraversando la band. Siamo partiti con un primo singolo, senza passare per il tour, che partirà da inizio autunno e abbiamo avuto dei feedback, devo dire molto positivi e di cui siamo contenti, che però ci hanno fatto capire il livello di interesse dell’ascoltatore, ma anche degli addetti, dove si focalizza di più. Dopo l’estate uscirà il secondo singolo, che è molto diverso da Nheven, per attitudine ma anche per quello che vuole raccontare. E ci aspettiamo reazioni diverse dalle prime. Poi ci sarà il tour e probabilmente un altro singolo. Al disco ci arriveremo con la condensa di suggestioni che ci porteremo dietro da queste prime pubblicazioni e dai live. E non mi sto riferendo per forza alle nostre di suggestioni, ma anche e soprattutto con quelle di chi sta entrando ed entrerà in contatto con il nostro progetto. Io mi lascio influenzare in modo molto profondo dalle reazioni altrui, da come percepiscono quello che gli mettiamo sotto gli occhi e le orecchie. Sto pensando, infatti, ad un coinvolgimento ancora più diretto del pubblico ma per ora lo lasciamo in sospeso, inizieremo a parlarne più avanti.

C’è l’intenzione di provare ad esportare il progetto anche fuori dall’Italia?

Per ora partiamo con il tour italiano. Ma in realtà sì, è una cosa a cui pensiamo dall’inizio. La musica che scrivo vive moltissimo delle influenze del mondo, dei viaggi che ho compiuto, limitarla quindi ad una sola area geografica precisa mi sembra anche incoerente con la natura di tutta questa storia. Stiamo anche lavorando ad alcune collaborazioni estere. Ma capiremo tutto meglio a fine anno.

#FollowtheNoise…

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