Mannarino: il Gran finale. Una lunga festa al Rock in Roma.

Mannarino

Mercoledì 25 Luglio al Rock in Roma “Il Gran Finale” dell’Apriti cielo tour di Mannarino, dopo un lungo tour invernale. Leggi la nostra recensione!

All’ennesimo concerto live di Mannarino avevo già vagamente idea di cosa aspettarmi dalla serata. “Il Gran finale”. Letto così, per chi non conoscesse questo artista, potrebbe sembrare anche un tantino pretenzioso.

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Arrivo al Rock in Roma da fan per questa data speciale perché, prima di tutto, ho imparato ad apprezzare Mannarino nella sua “età adulta” di Al Monte e da lì non mi sono mai più allontanata. Già mettendo il primo piede nella venue percepisco come andrà a finire. Tra il pubblico c’è infatti un gruppo di percussionisti, i Mistura Maneira, che ce le suonano per ingannare l’attesa e che poi rivedremo sul palco ospiti del cantautore. E’  già festa. Nelle quasi due ore da lì all’inizio del concerto si salta e si balla e, tra le file più vicine al palco, si cantano stornelli romani senza risparmio di energie.

Dopo un tour invernale indoor che ha portato l’artista romano anche nella sua città in una cornice più intima con i brani riarrangiati per l’occasione, Mannarino sceglie per  “Il Gran finale” di nuovo la sua Roma dove l’intenzione è sicuramente quella di essere il padrone di casa di una grande festa.

Sono le 21:30 quando calano le luci e sul maxi schermo appare l’immagine in bianco e nero della Porta di Brandeburgo. Sta per accadere qualcosa, questa sera sarà un messaggio a raggiungerci e, forse, a cambiarci.

Ma entriamo nel vivo. Il palco è allestito in maniera tutt’altro che minimale. Puccio Panettieri alla batteria, Daniele Leucci alle percussioni, due chitarre con Alessandro Chimienti e Giovanni Risitano, Nicolò Pagani al basso e contrabbasso, Seby Burgio al piano e tastiere, Simone Alessandrini al sassofono, Antonino Vitali alla tromba, Renato Vecchio ai sax, Giuseppe Liggieri al trombone, Paolo Ceccarelli alle corde, e due microfoni per le coriste Lavinia Mancusi e Simona Sciacca. La band unisce le tappe più importanti della carriera di Mannarino: una parte è quella di Apriti cielo tour e l’altra de L’impero crollerà, unite insieme. Ma ecco che arriva lui. Il pubblico intona “ALESSANDRO! ALESSANDRO!”, sembra quasi di essere nell’Antica Roma con le urla della folla che osanna l’imperatore. E infatti…

“Lo manna er cielo er re de Roma”. E’ proprio Roma il primo brano in scaletta e dietro di lui la Porta di Brandeburgo lascia spazio alla figura statuaria di un imperatore. Indossa la mitra e ha in mano una bandiera. Intorno a me ragazzi, bambini accompagnati dai genitori, e adulti. Tutti cantano dalla prima all’ultima parola “Vojò brindà co’ la cicuta a sta città che resta muta”. E’ un po’ la fotografia della situazione attuale, ormai logora. E piano piano l’immagine sullo schermo si incendia fino a bruciare completamente. Il simbolo della romanità che viene giù.

“Le 8 persone più ricche del pianeta detengono la ricchezza di 3,6 milioni di persone, la metà più povera del genere umano”. E’ questo il messaggio che appare sullo schermo. Il pubblico muto, forse ferito da qualcosa che è sotto gli occhi di tutti ma che è diventato talmente tanto un cliché che ormai sembra normale.

Il visual poi cambia nuovamente. L’immagine sulla Porta di Brandeburgo si allarga. Intorno e dietro c’è una città intera e da lì fa capolino Gandhi. “Andiamo nelle fabbriche cinesi, in mezzo ai campi calabresi, pomodori di Ragusa li raccolgono gli adepti di Mahatma Gandhi”. 7 minuti di brano che sembra un mantra a farci riflettere sulle conseguenze di ruoli che diamo per scontati.

Mannarino

Alla “band resident” si aggiungono a tratti tamburi e fiati, e i brani, riarrangiati ancora una volta per la dimensione estiva, acquistano un sapore nuovo. Si respira il Brasile, terra che Alessandro -è evidente- custodisce geloso nel cuore. C’è aria di fiesta sopra e sotto al palco.  Dalla scaletta che scorre via veloce scaturisce umanità come un fiume in piena. La sequenza dei brani scelta è alternata alla perfezione. C’è posto per la riflessione, ma c’è anche posto per ballare e per tornare romantici. Quando ad esempio la meravigliosa Lavinia Mancusi, che abbiamo imparato a conoscere durante il tour indoor, canta solista in spagnolo su “L’impero” a sottolineare il pathos del brano con la sua presenza scenica che toglie il respiro e incornicia la sua meravigliosa espressione vocale.

Mannarino non è un animale da palco, uno che si mangia le folle. Ma sicuramente è sincero. Sincerità che trasuda dai suoi dischi e poi trabocca dal vivo inondando il pubblico dei suoi sorrisi che valgono più di mille parole dette per riempire quei buchi tra una canzone e l’altra. Parla poco, ringrazia spesso, guarda la gente negli occhi e balla anche lui sulle note delle sue stesse canzoni.

“L’Africa è il continente più ricco di risorse con la popolazione più povera del mondo” è quello che appare sullo schermo dopo Scendi giù, con la quale Mannarino ha vinto nel 2015 il Premio Amnesty per il miglior testo. E ancora “In Africa sono presenti oltre 60 multinazionali. Ogni anno le multinazionali succhiano all’Africa 100 miliardi di Dollari in profitti legali e illegali. Il mondo ogni anno produce un debito nei confronti dell’Africa di 40 miliardi di Dollari. Il 70% dei poveri del mondo vive in Africa. Lo sfruttamento del continente africano ha causato ad oggi oltre 250 milioni di morti, il più grande crimine nella storia dell’umanità. In questo momento in Africa 1 milioni di persone sono in viaggio per lasciare il proprio Paese.”

E’ ora di “Apriti cielo” …per chi non ha bandiera, per chi non ha preghiera. A raggiungerlo sul palco è un gruppo di migranti che sorregge uno striscione con su scritto “Apriti mare e lasciali passare”. Il momento, forse il più alto del concerto, è sottolineato da un lungo applauso.  

Alessandro li lascia soli a viverlo. Poi torna sul palco e racconta la sua storia. Era a Caserta per un tributo all’amico Fausto Mesolella quando incrocia questi ragazzi che erano sotto al palco con lo stesso striscione in versione più piccola. Smosso dalla situazione iniziò a parlare alla piazza, ma quel giorno non partì lo stesso applauso dal pubblico e lui si arrabbiò moltissimo. Vedeva gente annoiata che per una vita intera aveva dato la colpa dei suoi problemi agli altri: prima ai politici, poi ai neri. “Invece questi ragazzi un giorno si sono alzati e hanno deciso che in quella situazione non potevano starci. Allora non devono essere considerati una minaccia ma un esempio perché stanno dicendo ad una nazione intera che si può anche dire di no”. Ad Alessandro si spezza quasi la voce nel parlare, ma la musica gli viene in aiuto.

Sul palco salgono a turno alcuni dei suoi amici e colleghi. E’ il momento di Samuel Romano con il quale interpreta Ultra Pharum, registrata insieme in Sicilia, terra diventata simbolo internazionale del discorso immigrazione.

In questi giorni le polemiche sulla situazione immigrazione in relazione alla musica sono state molte, ad iniziare dai Pearl Jam in Italia, #Apriteiporti, le reazioni contrarie. Si tratta davvero di fare politica o di dar voce a chi voce non ne ha ? Alessandro se ne sbatte delle polemiche e in questa serata ha portato fermamente avanti un messaggio che va al di là della politica. Il risultato di un percorso ragionato, in questo caso, è ben riuscito ed è riversato tutto in una serata. Il Gran Finale è un fluire di culture e colori. Le diversità spariscono in una festa che coinvolge tutti sopra e sotto al palco: bianchi, neri, cittadini e stranieri, bambini intorno a me, i loro genitori e ragazzi.

Ora siamo in un momento tutti uguali e unici, tutti presi dalla danza su “L’arca di Noè” che nel pubblico diventa un gran ballo carnevalesco per le strade di Bahia.

L’emozione è ora trasformata. Abbiamo in sequenza i brani della “tradizione” del cantautore romano: “Quando l’amore se ne va”, “Serenata lacrimosa”, “Tevere Grand Hotel” mentre il visual di sfondo al palco continua a trasmettere immagini. Brani che sono ormai un inno e che il pubblico non smette di cantare: “Oh mammà, come se fa? Ce dicono de vive da morti e poi resuscità”. Mannarino prende l’applauso di tutto il pubblico da sinistra a destra dal palco e ringrazia. E’ un padrone di casa perfetto ed ospitale.

L’impero ballarò, brano inedito nato per il tour de L’Impero crollerà e che fonde insieme i testi di due canzoni di Mannarino “L’onorevole” e “L’impero”, si conclude con un’esplosione: fuoco sul palco e coriandoli dal cielo. Il pubblico impazzisce, è una botta di celebrazione condivisa.

La band, Alessandro compreso, lascia il palco. Dopo alcuni minuti è lui da solo a riapparire mentre il pubblico già lo chiama. Chitarra e voce attacca da solo “Bar della rabbia”. E’ il momento in cui si percepisce ancora di più il legame dell’artista con il suo pubblico. Lui attacca e la gente lo sostiene e gli risponde. Il successo, i tour, la band, i viaggi, non hanno forse mai cambiato troppo questo ragazzo della periferia romana che faceva la gavetta nei locali per portare in giro la sua musica. Questa sera non sembra passato poi molto tempo da allora, questa sera torniamo proprio dove tutto è cominciato. Poi il bis continua con “Me so ‘mbricato”. Sono quei brani che la gente chiede e che canta a squarciagola perché fanno parte delle sue e delle nostre radici.

Tra gli ospiti che, insieme alla band, ora salgono sul palco c’è Olen Cesariil violinista originario di Durazzo che ha condiviso con il cantautore un viaggio in Brasile. Mannarino scherza “mi sta insegnando a suonare il violino”. E’ Alessandro a reggere l’archetto immobile e Olen a muovere lo strumento su di questo. Si ride un sacco e lui si prende in giro: “2 ore e mezza di concerto rovinate in 1 minuto”.

La chiusura, full band, inizia con “Statte zitta”. Ma prima del brano che poi farà calare le luci sulla serata, Mannarino invita sul palco “l’idolo delle folle”. Chi segue l’artista sui social, avrà visto in questi mesi una forsennata pubblicità portata simpaticamente avanti nelle sue storie Instagram dal testimonial ufficiale Alessio Vitelli. Stasera è qui anche lui: sale sul palco e presenta la band e poi si butta in mezzo alla folla per un improbabile, ma riuscitissimo, stage diving. “A regà, fateme volà!”. 

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Ed è così che questa festa di tre ore si sta per concludere. Con “Scetate vajò” finisce proprio com’era iniziata nel prato già prima del concerto con i tamburi dei Mistura Maneira, con tutto il pubblico preso in una gigantesca tarantella.

Le luci si riaccendono e dopo una piccola pausa la band e Mannarino tornano sul palco. “Mi hanno staccato l’impianto” dice. Non si può proprio più continuare a suonare stavolta. Con loro c’è Andrea Rivera che legge una poesia dedicata all’amico cantautore, scritta con gli stessi titoli delle sue canzoni.

“Apriti cielo che l’impero crollerà” è il messaggio finale che Mannarino ci lascia sul maxischermo.

Il ragazzo che si è fatto da solo, che non ha avuto bisogno di tentare il palco di Sanremo per raggiungere le case degli italiani, o di adattarsi a scrivere brani mainstream per piacere alle radio piuttosto che al pubblico, ha davvero vinto puntando con costanza su se stesso e sulla sua onestà. Che questo artista piaccia o meno, quello che resta della musica di Mannarino, è ancora più chiaro dopo una serata del genere: la purezza di cuore dello stesso Alessandro.

 

Setlist:

Roma/Marylou/Osso di seppia/Malamor/Gandhi/Vivo/Babalù/Gli animali/Signorina/L’impero/Maddalena/Scendi giù/Apriti cielo/Ultra Pharum/Arca di Noè/Quando l’amore se ne va/Serenata lacrimosa/Tevere Grand Hotel/Impero Ballarò Bis: Bar della rabbia/Me so mbriacato/Statte zitta/Scetate vajò.

 

#FollowtheNoise…

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