San Diego: dal caos al minimalismo con “ù”

SAN DIEGO

Si chiama “ù” ed è il nuovo album di San Diego. Un disco ambizioso che mira a mantenere le peculiarità sonore dell’album d’esordio, andando a lavorare, nello stesso tempo, per sottrazione. Noi lo abbiamo intervistato per farci raccontare qualcosa di più.

 

É uscito il 17 aprile, a tre anni dall’esordio discografico con “Disco”, “ù” il secondo album di San Diego in uscita per Mattonella Records/Grifo Dischi. Anticipato da 5 singoli:Doccia” (marzo 2019), “Lol” (giugno 2019), “Asmr” (luglio 2019), “Algida” (settembre 2019) e “Ondaverde” (marzo 2020) “ù” prosegue quello iniziato con “Disco” sommando nuovi elementi più maturi ma, nello stesso tempo, mantenendo l’urgenza e la spontaneità degli albori.

 

L’ambizione di questo disco era di mantenere il più possibile le peculiarità del primo, cercando però di andare anche oltre. Se prima ho puntato sull’eccesso e sulla stratificazione per poter volutamente esprimere qualcosa, in questo ho scelto e incasellato le idee, ho lavorato per sottrazione.”

 

Ciao San Diego, è da poco uscito il tuo secondo album. Come ti senti?

Mi sento bene direi, il disco sta andando bene e da questo punto di vista non ho di che lamentarmi. Certo, poi starei meglio se non ci fosse questa situazione dovuta al Covid e tutto ciò che ne consegue, ma si cerca di andare avanti, sempre.

Che significato ha la scelta del titolo “ù”?

Mi piaceva dare un titolo che risultasse d’impatto, anche graficamente, senza la pretesa di rappresentare troppo cosa c’è nel disco. Sulla tastiera è vicino all’invio, quindi è facile sbagliarsi e lo trovavo molto emblematico. Inoltre è un suono che, come vocalizzo, ricorre spesso nelle varie tracce.

 

 

C’è un filo conduttore con il tuo disco d’esordio?

C’è sicuramente un filo conduttore, ma non volevo assolutamente fare un disco uguale al precedente, quindi ho provato a tenere gli elementi che più mi piacevano e mi caratterizzavano cercando di sperimentare un po’ sopra.

Come si è svolta la lavorazione in studio dell’album? 

In realtà in vari step, principalmente a Milano con scorribande a Roma e a Londra. Forse si poteva fare in meno tempo, ma in questo modo è venuto sicuramente più vario del primo.

I 5 singoli che hanno anticipato l’album sono stati rilasciati in un anno di tempo fino ad arrivare ad oggi con l’uscita del disco. Come si è evoluta la tua scrittura in quest’anno?

Questo modus operandi mi ha permesso di non fossilizzarmi su un solo modo di scrivere e produrre, mi ha portato a cercare altre strade, a cambiare di più.

 

 

Rispetto al precedente lavoro, hai dichiarato di aver lavorato per sottrazione su quest’ultimo. Cosa ti sentivi di togliere?

Il primo era volutamente iperprodotto, tantissimi suoni e riff stratificati uno sopra l’altro, volevo fosse un caos. Su questo ho giocato di più sul minimalismo, giocarmela su scelte precise valorizzandole il più possibile.

Continui a riconoscerti nel disco precedente?

Mi ci riconosco come uno può riconoscersi come persona a distanza di quasi tre anni, senza dare accezioni negative o positive. Credo sia una fotografia che è invecchiata bene.

Tropicale” vede il feat de Lo Sgargabonzi. Come nasce l’idea di questa collaborazione?

Nasce dalla stima reciproca che ha portato già alla prima collaborazione nel primo disco. Il seguito è stato totalmente naturale, e sicuramente la collaborazione continuerà anche in futuro.

Come hai trascorso la quarantena?

Sono stato oltre due mesi senza uscire mai, ed è talmente una cosa lontana dalla normalità che ci ho trovato ovviamente spunti anche positivi. La noia è uno stato psicologico troppo bistrattato e sottovalutato.

 

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