Pain is a dress: trasformare il dolore | Intervista

PAIN IS A DRESS IVY

Si intitola Ivy ed è l’esordio discografico dei Pain is a dress, band romana dark wave nata nel 2007. Li abbiamo intervistati per farci raccontare la genesi di questo nuovo percorso. 

 

Pain is a Dress sono Nico Schiano (voce, pianoforte), Lorenzo Coppola (chitarra), Pierpaolo Iulianello (basso) e Valentina D’Angelo (batteria). Ivy, il loro primo lavoro discografico, è composto da 12 tracce con la title track ispirata ad “Under the Ivy”, brano di Kate Bush. Nel loro progetto, i Pain is a dress riprendono proprio quelle atmosfere evocative e le fanno loro amalgamandole bene a suoni notturni, misteriosi e avvolgenti caratterizzati dal suono del pianoforte.

Il nuovo disco sarà presentato dal vivo Venerdì 13 Novembre al Marmo di Roma

Qui la nostra intervista.

Ciao ragazzi! Siete appena usciti con il nuovo disco “Ivy”. Come vi sentite?

Ciao a tutti voi! Siamo molto soddisfatti del risultato finale, era quello che volevamo. Le sensazioni sono del tutto positive. Ci siamo goduti tutto il processo di Ivy: dalla composizione delle canzoni alla pubblicazione finale. Siamo felici perché è un album che rispecchia la nostra vera natura.

Perché Pain is a dress?

Volevamo a tutti i costi che una metafora rappresentasse il significato del nostro progetto. Per questo motivo abbiamo scelto il nome Pain is a Dress, ovvero il “dolore è un vestito”. Abbiamo paragonato il dolore ad una sorta di oggetto, come un vestito, che indossiamo nella fase di composizione dei nostri brani. Il nostro intento è quello di trasformare dolore, sofferenza e tutte le esperienze brutte della vita in qualcosa di bello. Le sensazioni negative non sono che un vestito elegante di cui ci si può ammantare per far sì che esse si trasformino in qualcosa di speciale e caratterizzante.

Come nasce questo disco?

Ivy nasce dal bisogno primario di espressione del nostro essere, dal rispetto per la musica e per tutto ciò che concerne questo mondo che abbiamo studiato e a cui abbiamo dedicato tutta la nostra vita sino ad adesso. Ivy è nato durante la notte, dopo tanto vino, forse troppo, attraverso un pianoforte posto nell’angolo di una camera. Il momento in cui cala il buio e tutto tace è il momento adatto, per lo scrittore, per rimanere da solo con i suoi pensieri e per sprigionare finalmente la creatività che non ha potuto tirare fuori durante il giorno, ricco di frenesia e di distrazione. Ivy è una priorità, è quello che facciamo, è quello che siamo, è quello in cui crediamo.

Quali sono le vostre influenze musicali? 

Adoriamo il cantautorato femminile americano ed inglese. I nostri punti di riferimento sono Kate Bush, Tori Amos, Bjork, Joni Mitchell, Cat Power, ma anche gruppi alternative rock come Lamb, The Cure, The Smiths, Siouxsie and the Banshees, Anthony and the Johnson. Per quanto riguarda la musica italiana assolutamente Franco Battiato, mentre per il pop adoriamo Lana del Rey e i Florence + The Machine. Cerchiamo un costante riferimento sonoro nella musica degli artisti che abbiamo citato.

“Ivy” è un tributo a Kate Bush: “Under the ivy”. L’edera come un nascondiglio per proteggervi dal mondo intorno. Quali sono le cose dalle quali non volete farvi contaminare?

Il nome è un omaggio a Kate Bush e alla sua canzone “Under the ivy”: l’edera, in questo caso, assume un significato di protezione, un posto in cui emanciparsi e vivere d’arte, lontano dal mondo comune, così complesso e disordinato per una mente artistica. Un posto in cui vivere in solitudine e nascosti, dove la creatività prende il sopravvento. Non vogliamo farci contaminare dal male, che cavalca e tiene le redini di questa società retrograda, razzista, omofoba: sono tutte cose che non hanno niente a che vedere con l’arte. La risposta a questa domanda la potete trovare nella nostra canzone “Lost in the Garden”: Apparteniamo tutti ad un giardino che è pieno di spine, e la nostra prerogativa è quella di non essere punti dall’odio che ci circonda. Questo è per ciò che riguarda la vita di tutti i giorni, per quanto riguarda il nostro essere musicisti, non vorremmo sicuramente mai essere contaminati dal compromesso: saremo noi stessi per sempre, senza cambiare per niente o nessuno.

Ivy parla del malessere che l’artista è costretto ad affrontare per far sì che venga capito. Pensate sia necessario essere capiti o forse alcuni tipi di musica non sono per tutti?

Impossibile essere capiti da tutti. L’importante è essere capiti da qualcuno, perché anche se una nostra canzone dovesse servire ad aiutare una persona e basta, sarebbe comunque una vittoria grandissima. Poi il malessere non è detto che debba sparire, spesso frutta a livello creativo e compositivo. Se dovessimo fare un discorso tecnico, alcuni generi musicali ovviamente non sono per tutti. La musica è un insieme di cose, c’è chi la studia e si aggiorna da anni: magari un pezzo jazz fusion di Chaka Khan difficilmente apparterrà a chi si ascolta Coez. Magari un brano R n B di Lauryn Hill non fa per gente che ascolta Alessandra Amoroso o Emma Marrone, ma è solamente un punto di vista tecnico. Che comunque esiste, perché la musica è anche quello. Oggi questo lato si è un po’ perso.

A quale tipo di pubblico vorreste arrivare?

Ad un tipo di pubblico che non si fermi all’apparenza. Deve essere sensibile, che riesca a percepire qualsiasi cosa, partendo dalla musica e quindi dalla composizione, dall’armonia, dagli arrangiamenti, dalle scelte stilistiche per arrivare al significato del testo. Ad un pubblico superficiale e disattento, preferiremmo un audience di addetti ai lavori, di chi la musica la fa, la insegna, la capisce. Il nostro sogno è quello di fare un concerto all’Auditorium, accompagnati da un’orchestra, con un pubblico attento e che riesca a capirci fino in fondo.

La vostra musica non appartiene sicuramente al mainstream. Quali sono le difficoltà che trovate o avete trovato nel relazionarvi con le realtà musicali preposte a diffondere la musica di artisti emergenti?

La difficoltà principale è quella di farsi strada in un ambiente musicale poco affine al nostro, soprattutto per il pubblico che, con superficialità, ti scarta a priori se non scrivi in italiano. Ci sentiamo sempre fuori luogo, sempre giudicati e guardati con un occhio storto. Però dobbiamo dire che le realtà romane preposte a diffondere la musica emergente ci hanno fatto sempre sentire a casa nostra. Realtà come It’s Up 2 U o Marmo Music Match (tanto per citarne due, ma sono molte) ci hanno sempre trattato come parte di questa grande cerchia, apprezzandoci e premiandoci. Grazie al loro affetto e alla loro vicinanza la nostra paura è sempre diminuita col passare del tempo.

Cosa pensate dei talent show? Vi è mai venuto in mente di partecipare?

Pensare che un artista non tenti di ampliare al massimo la cerchia di pubblico è una fesseria. Il sogno della rockstar famosa in tutto il mondo appartiene a tutti. Tuttavia non crediamo che sia una priorità al momento. Sicuramente la televisione sarebbe una buona vetrina, però per progetti diversi dal nostro. Sinceramente proviamo una repulsione per quei talent show inutili che hanno fatto sì che l’attenzione si spostasse solo ed esclusivamente sul personaggio, mettendo la musica in secondo piano. I cantanti o i musicisti in quel caso ottengono la gloria fino a che non vengono sostituiti dalla novità dell’anno successivo, ed è una cosa folle, proprio perché il pubblico non si lega alla musica, ma alla bellezza o alla simpatia. Per quanto riguarda le altre tipologie di talent non sapremmo rispondere, ma alla fine pensiamo che il discorso sia sempre lo stesso. Magari X Factor si salva giusto perché si presentano alle audizioni gruppi competenti e con un sound veramente riconoscibile. Però pensiamo che il meccanismo sia sempre quello. Quindi no, fino ad adesso non abbiamo mai pensato di partecipare.

Pensate di scrivere brani in italiano?

Momentaneamente no, semplicemente perché non pensiamo che sia molto coerente con il sound che proponiamo e al quale ci ispiriamo. Ci abbiamo provato ma non ci riusciamo proprio. Ci vuole un’attitudine diversa, perché molto spesso si rischia di cadere nel banale. E’ anche molto difficile e non ci sentiamo pronti, anche perché la musica è espressione, e se non riuscissimo in questo intento nulla avrebbe senso. Quindi preferiamo rimanere su questa linea e non adattarci per il momento.

Dove possiamo ascoltarvi dal vivo?

Abbiamo in progetto un tour all’estero, ci piacerebbe vedere il riscontro del pubblico straniero. Stiamo valutando varie ipotesi. Il 13 Novembre 2019 festeggeremo l’uscita di Ivy al Marmo a Roma, con il nostro release party. E’ un palco a cui siamo molto affezionati, perché è lì che siamo cresciuti e maturati artisticamente.

 

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