Sanremo 2025 – Pagelle serata cover: tra magie, karaoke e scelte azzardate

Sanremo serata duetti e cover

La serata dei duetti e delle cover è da sempre uno dei momenti più attesi del Festival di Sanremo, un’occasione in cui gli artisti in gara possono osare, giocare con la musica e reinventare brani iconici del repertorio italiano e internazionale. Quest’anno, il palco dell’Ariston ha ospitato collaborazioni intriganti, incontri artistici sorprendenti e qualche esperimento meno riuscito.

Se da un lato alcuni degli artisti in gara hanno dimostrato grande personalità, reinterpretando con autenticità i brani scelti, altri hanno lasciato l’impressione di un’esecuzione scolastica, priva di una reale impronta artistica. Il rischio, con i duetti, è sempre quello di appoggiarsi troppo alla forza del pezzo originale, senza riuscire a restituire qualcosa di veramente nuovo. E come spesso accade, ci sono stati momenti di puro spettacolo accanto ad altri decisamente dimenticabili.

Dalle rivisitazioni emozionanti alle scelte più azzardate, ecco le nostre pagelle della serata cover e duetti di Sanremo 2025.

 

ROSE VILLAIN + CHIELLO –  FIORI ROSA, FIORI DI PESCO – Un capolavoro assoluto di Battisti, intergenerazionale, che si canta e si vive senza tempo. Ma non basta. Il brano funziona perché è già perfetto di suo, mentre l’interpretazione non aggiunge una reale personalità artistica. Due artisti interessanti, con carattere, che però qui si limitano ad eseguire senza lasciare un segno distintivo come due amici al bar che dopo un paio di drink si imbattono in una gara di karaoke.

MODÀ + FRANCESCO RENGA – ANGELO – Un brano che appartiene alla storia del Festival e che porta con sé un carico emotivo importante. Tuttavia, in questa versione, più che un omaggio sentito sembra un’esecuzione poco centrata, che non restituisce pienamente la forza e l’intensità che meriterebbe. Il rispetto per il pezzo è evidente, ma manca quella profondità interpretativa che lo avrebbe reso davvero incisivo. La domanda sorge spontanea: le prove le hanno fatte?

CLARA + IL VOLO – THE SOUND OF SILENCE – Un brano che non ha bisogno di presentazioni e che, inevitabilmente, genera brividi fin dalle prime note. Questa versione suona come la rielaborazione dei Disturbed al Pavarotti & Friends. Il risultato è nel complesso convincente, con un equilibrio tra potenza vocale e pathos che, pur non aggiungendo nulla di rivoluzionario, regge il confronto con il peso del pezzo.

NOEMI + TONY EFFE – TUTTO IL RESTO È NOIA – Difficile fare peggio. Tony Effe sembra la versione sbiadita di Califano sotto effetto di Fentanyl, senza il carisma necessario per reggere un pezzo così iconico. Noemi, dal canto suo, appare incastrata in una scelta più strategica (di “scuderia”) che artistica, sprecando un’ulteriore occasione per dimostrare davvero la sua grandezza. Il risultato è una performance priva di profondità, che non rende giustizia né al brano né agli interpreti.

FRANCESCA MICHIELIN + RKOMI – LA NUOVA STELLA DI BROADWAY – L’intenzione era buona, la scelta del brano impeccabile, ma l’esecuzione lascia a desiderare. Ascoltandoli, sembra che “la nuova stella” debba ancora nascere… o forse non nascerà mai. La loro versione manca di quella profondità emotiva che rende questo pezzo così speciale. Un tributo che avrebbe potuto brillare ma che invece resta opaco, privo di vero coinvolgimento, di una vera intesa.

LUCIO CORSI + TOPO GIGIO – NEL BLU DIPINTO DI BLU – Chiudete tutto. La serata cover è sua. PUNTO. Ci ha catapultato in un passato che commuove, tra nostalgia e meraviglia, restituendo spensieratezza e positività. La difficile arte della semplicità, qui, è stata elevata a magia.

SERENA BRANCALE + ALESSANDRA AMOROSO – IF I AIN’T GOT YOU – Indiscutibile la bravura vocale di entrambe: potenti, precise, perfettamente sul pezzo. Ma con un brano del genere il rischio è sempre lo stesso: più che un momento artistico, sembra sempre l’esibizione all’esame del quinto anno di Pop.

IRAMA + ARISA – SAY SOMETHING – Questo è Irama al massimo della sua espressività. Un’interpretazione che lascia senza fiato, capace di trasformare emozioni in pura intensità. Insieme ad Arisa, il duetto diventa un momento di pura magia: lacrime e passione, sacralità e intesa. Il tempo si è fermato. Una di quelle rare esibizioni che solo pochi artisti hanno il potere di creare.

Lucio Corsi Topo Gigio

 

GAIA + TOQUINHO – LA VOGLIA, LA PAZZIA – Gaia brilla per vocalità e presenza scenica, e la scelta di portare Toquinho sembrava un assist perfetto, vista la sua connessione e le sue origini Brasiliane. Tuttavia, resta la sensazione di un’occasione sfruttata a metà: avrebbe potuto valorizzare ancora di più le sue radici, magari inserendo una parte in Portoghese e lasciando emergere quella saudade che rende questo repertorio unico. Peccato, perché il potenziale per un momento memorabile c’era tutto.

THE KOLORS + SAL DA VINCI – ROSSETTO E CAFFÈ – Il vero momento nazional-popolare lo conquistano loro. Energia, tradizione e grande presa sul pubblico. Tutti in piedi per il Neapolitan Power.

MARCELLA BELLA + TWIN VIOLINS – L’EMOZIONE NON HA VOCE – Un tributo doveroso e sentito al fratello, impreziosito dalla presenza dei giovani talenti Twin Violins. Tuttavia, l’intensità emotiva sembra affidata più alla grandezza intrinseca del brano che all’interpretazione stessa, risultando in una resa piuttosto piatta.

ROCCO HUNT + CLEMENTINO – Un’altra faccia della cazzimma napoletana, fatta di ritmo, intelligenza e rime crude, affilate. Un palleggio tecnico e serrato tra due fuoriclasse del flow, che dimostrano ancora una volta quanto il rap napoletano possa essere incisivo e coinvolgente. Tanta roba. Clementino, poi, si conferma un artista illuminato.

FRANCESCO GABBANI + TRICARICO – IO SONO FRANCESCO – Un brano che, dietro una musicalità leggera e quasi ingenua, nasconde un significato che lacera l’anima. Intenso, crudele, reale. Un piccolo capolavoro di sensibilità e profondità che solo un’anima come Tricarico poteva scrivere. Gabbani lo interpreta con rispetto, lasciando spazio alla forza del testo senza snaturarne l’essenza.

GIORGIA + ANNALISA – SKYFALL – Due aliene. Un’esibizione impeccabile sotto ogni aspetto: tecnica, espressività, personalità. Una vera lezione di musicalità, in cui entrambe dimostrano di essere giganti senza mai sovrastarsi a vicenda. Potenza ed eleganza fuse alla perfezione. Uniche.

SIMONE CRISTICCHI + AMARA – LA CURA – Questo brano ci ricorda chi era davvero il Maestro Franco Battiato: un essere speciale, illuminato. La Cura è il testamento di un’anima superiore, e proprio per questo interpretarla è un’impresa complessa. Non basta sfiorare la spiritualità, bisogna viverla, incarnarla, trasformarla in gesto, azione, presenza. Qui è mancata proprio questa dimensione: la fisicità dell’intenzione, l’abbandono totale al significato del brano. Per meditare non basta accendere l’incenso, serve una profondità ben più radicata.

SARAH TOSCANO + OFENBACH – OVERDRIVE – Probabilmente la sua migliore esibizione a Sanremo25, segno che quando ha un riferimento chiaro riesce a dare il meglio di sé. Il “problema” emerge quando questo riferimento manca: si avverte ancora l’assenza di un’identità artistica definita, di una personalità che lasci il segno. Il talento c’è, le qualità tecniche anche, ma serve tempo per trasformarle in un’impronta davvero riconoscibile.

COMA_COSE + JOHNSON RIGHEIRA – L’ESTATE STA FINENDO – Un momento sospeso tra goliardia e nostalgia, piacevole da rivivere ma nulla più. L’interpretazione è rimasta troppo blanda, priva di quel guizzo che avrebbe potuto renderla davvero memorabile. Dai Coma_Cose ci aspettavamo molto di più, soprattutto in termini di rielaborazione.

JOAN THIELE + FRAH QUINTALE – CHE COSA C’È – Joan Thiele brilla e si prende finalmente lo spazio che merita davanti al grande pubblico. Un traguardo doveroso per un’artista di questo calibro. Frah Quintale, pur gestendo bene il suo esordio sanremese, non riesce a dare alla cover quel calore necessario per farla arrivare davvero. La dedica suona più estetica che sentita, lasciando la sensazione di un’interpretazione elegante ma emotivamente distante.

OLLY + GORAN BREGOVIC – IL PESCATORE – Il peso del confronto con un gigante come De André, per di più genovese come Olly, si fa sentire. Il risultato? Una rilettura confusa, più da saloon dopo una pinta di troppo che da tributo sentito si trasforma in un preludio ad una rissa in stile Bud Spencer e Terence Hill, più che un omaggio alla poesia del brano. E con Il Pescatore tutto questo cosa c’entra? Nulla. Appunto.

ACHILLE LAURO + ELODIE – A MANO A MANO/ FOLLE CITTÀ – L’inizio prometteva bene: l’interpretazione di Lauro sulle strofe di A mano a mano era in linea con il senso del brano, ma poi tutto si sfalda. Uno sgancio emotivo troppo netto, che spezza il coinvolgimento e rende l’intero arrangiamento privo di coerenza. E poi Elodie… perché? Dov’era? Una presenza quasi invisibile, in una performance che poteva essere potente e, invece, si è rivelata un’occasione sprecata. La coppia ha un potenziale enorme, ma qui il concept va completamente ripensato.

MASSIMO RANIERI + NERI PER CASO – DIMMI QUANDO – I Neri per Caso sono un patrimonio dell’umanità, e quando si uniscono a un’icona come Massimo Ranieri il risultato è indiscutibilmente raffinato e tecnicamente impeccabile. Tuttavia, resta più un’esibizione di maestria vocale che un momento di vera emozione. Il brivido non arriva davvero, se non per l’eccellenza nell’intreccio delle voci.

WILLIE PEYOTE + FEDERICO ZAMPAGLIONE, DITONELLAPIAGA – Federico Zampaglione è probabilmente l’unico, dopo Franco Califano, a poter sostenere questo brano con autenticità. Perché Califano non era tecnica, ma vita vissuta, esperienza trasformata in musica. Qui, invece, c’è fin troppo tecnicismo, un esercizio di stile che finisce per svuotare il senso originale del pezzo. Il risultato suona autoreferenziale, più concentrato sulla forma che sulla sostanza.

BRUNORI SAS, RICCARDO SINIGALLIA, DI MARTINO – L’ANNO CHE VERRÀ – Tre amici, un fiasco di vino rosso e una cantata davanti al camino. Perfetto, forse anche troppo. L’atmosfera è intima, raccolta, esattamente quello che ci si aspetta da Brunori & co., ma senza sorprese. La dedica – doverosa – a Paolo Benvegnù aggiunge significato, ma arriva solo alla fine, senza incidere davvero nell’interpretazione. Non è un male, ma nemmeno un momento indimenticabile.

FEDEZ + MARCO MASINI – BELLA STRONZA – Al netto di polemiche, gossip e polveroni vari, questa è la dimostrazione di come si possa rielaborare un brano adattandolo perfettamente al proprio stile. Il risultato è inquieto, rabbioso, spiazzante. Ma sicuramente, il messaggio è arrivato forte e chiaro.

BRESH, CRISTIANO DE ANDRÈ – CRÊUZA DE MÄ – Bresh esce dalla sua comfort zone, e questo è già un punto a favore. Il coraggio di affrontare un brano così complesso e identitario va riconosciuto. L’esibizione, segnata da problemi tecnici, riesce comunque a evocare quell’atmosfera sospesa e fluttuante che la musica di De André sa creare. Un secondo merito a Bresh, che almeno prova a spostarsi da ciò che gli è più familiare. Il risultato è piacevole, ma nulla di più. L’intenzione c’era, il giusto.

SHABLO, NEFFA – AMOR DE MI VIDA / ASPETTANDO IL SOLEBack to the ’90s, un evergreen che non perde mai il suo fascino. Più che una semplice esibizione, è stato un tributo sentito a un maestro del genere, capace di evocare un’ondata di nostalgia senza risultare datato. Un viaggio che dimostra come certi brani non invecchino mai: attraversano il tempo, le generazioni, e restano impressi come le tavole sacre di una religione musicale. Per un attimo, abbiamo vissuto un sogno.

 

Un suggerimento per il futuro:

 

Se possiamo permetterci di dare un consiglio a Carlo Conti, sarebbe quello di tornare a far concorrere la serata cover nella classifica generale. Questo “fuori classifica” porta, a nostro avviso, gli artisti a gestire l’esibizione in modo più cauto, trasformandola spesso in una semplice passerella piuttosto che in una reale performance competitiva. Senza il peso della classifica, il rischio è quello di vedere esecuzioni piatte, scelte prevedibili e un generale appiattimento della qualità artistica.

Sanremo è competizione, e ogni serata dovrebbe contribuire a scrivere la storia del Festival. Per questo motivo, sarebbe interessante che il team organizzativo ripensasse il format, magari riportando la serata cover ad incidere sul risultato finale. Questo non solo alzerebbe il livello delle esibizioni, ma restituirebbe alla gara un elemento fondamentale: la voglia di sorprendere e di lasciare il segno, anche reinterpretando la grande musica del passato.

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