Marta Tenaglia: la liberazione dalla vergogna e la celebrazione dell’autenticità

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Dietro il velo di “After Verecondia”, uscito il 24 novembre, si cela la rinascita di Marta Tenaglia. Nei dieci brani che compongono l’opera, l’artista milanese si svela senza filtri, regalando al pubblico una versione più autentica di sé stessa. Ce lo racconta nel corso di questa nostra intervista in cui abbiamo approfondito il processo creativo dietro al disco, la liberazione dalla vergogna e l’importanza di abbracciare l’incoerenza. 

 

“After Verecondia,” l’atteso album di Marta Tenaglia che ha visto la luce il 24 novembre scorso per Costello’s Records, rivela la rinascita dell’artista milanese. In questo lavoro composto da dieci brani, Marta Tenaglia si presenta al pubblico senza filtri, offrendo una versione ancor più genuina di se stessa. Attraverso la collaborazione con produttori come Federico Carillo e Elasi, emerge un universo sonoro ricco di sfumature, caratterizzato da sperimentazioni che abbracciano sonorità elettroniche e ritmi avvolgenti.

Nel corso della nostra intervista, l’artista ha condiviso i dettagli del processo creativo dietro l’album, evidenziando la liberazione dalla vergogna e sottolineando l’importanza di abbracciare l’incoerenza. “After Verecondia” si presenta non solo come un semplice album ma, piuttosto, come un viaggio intimo attraverso le emozioni di Marta Tenaglia, un’artista che, con coraggio e consapevolezza, si mostra senza veli, celebrando la propria autenticità.

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Ciao Marta, benvenuta su Indieffusione. Come descriveresti la transizione artistica e personale che hai vissuto tra il tuo album di debutto “Guarda dove vai” e il tuo ultimo disco “After Verecondia”?

È passato poco più di un anno tra un disco e l’altro e, per quanto sia stato intenso e pieno, non mi sentirei di dire che ho attraversato una vera e propria transizione. Mi sento in viaggio, questo sì! Con “Guarda Dove Vai” sono partita a passi timidi, guardandomi un po’ in giro, e con “After Verecondia” ho rivalutato un po’ la valigia che mi ero portata dietro, ho scremato l’inessenziale. Tipo: dopo trent’anni ancora qui a chiedermi il mio modo di essere sia ok? Ma anche basta 🙂

Puoi parlarci del processo creativo dietro la scrittura e la composizione dei brani del tuo nuovo album? Ci sono particolari ispirazioni o esperienze che hanno plasmato le canzoni?

Beh sì assolutamente sì! Ogni pezzo è pieno zeppo di vita. Dicevo che sono stati anni intensi ed è vero, ma non tanto perché siano successe cose eclatanti ma più per il modo in cui ho scelto di viverle. Si dice che gioie e sofferenze di un’artista vadano viste tutte come ‘’materiale’’ su cui lavorare, no? La penso così al 100%, e con questo disco ho voluto allargare ancora di più lo spettro di sensazioni da esplorare e farci entrare tutto, anche gli aspetti più scomodi.

Come è stata l’esperienza di lavorare con produttori come Federico Carillo e Elasi per questo nuovo progetto musicale? Qual è stata la tua visione collaborativa nel processo di produzione?

Eli è una carissima amica e un’ispirazione continua. Dà sempre il mille per cento in quello che fa, ha dentro il fuoco sacro della ricerca musicale e dell’ambizione. Nei suoi lavori, che siano per lei o per altri, sceglie le parole una a una, le pesa, le colora, sceglie i suoni al millimetro, li va scovare nelle foreste tropicali della sua mente caleidoscopica.
Fede è un silenziosissimo e perennemente calmo genio visionario. Ho passato decine e decine e decine di ore nel suo studio senza parlare, eppure negli anni mi ha aiutata a tirare fuori un mondo che non sapevo esistesse. E mi ha fatto guardare centinaia di video su produttori giganti e su dettagli infinitesimali. Va in fissa su piccolissimi elementi essenziali e prende decisioni con la fermezza di un chirurgo.
Io farei tutto di pancia e ho una fortissima tendenza all’approssimazione. Ora immaginami a lavorarci, con sti due! Un bellissimo incubo. Ho scelto di fidarmi di loro e del processo che è scaturito dal lavorare insieme. E ho fatto bene!

Con “After Verecondia” hai dichiarato di esserti liberata dalla vergogna e di aver abbracciato la tua autenticità. Cosa ha scatenato questo cambiamento e come si riflette nella tua musica?

È avvenuto spontaneamente, era una necessità di sopravvivenza che a un certo punto del mio percorso personale e artistico ha avuto la meglio.

Hai parlato, inoltre, dell’importanza di abbracciare l’incoerenza e la complessità della vita. Come si traduce questo concetto all’interno della tua musica e delle tue liriche?

Cercando di filtrare il meno possibile. Melodie, parole, concetti. Accogliere tutto senza giudicare, ogni emozione piacevole o meno che sia è lì perché deve dirti delle cose, ed è meglio ascoltarla perché tappargli la bocca la fa solo esplodere. Non so, ho cercato di passare il microfono a tutte e sentire cosa avevano da dire, poi ho tirato le fila.

Qual è il significato dietro il titolo dell’album “After Verecondia” e come si lega al tema centrale del disco?

‘’Verecondia’’ è un termine un (bel) po’ aulico per dire ‘’vergogna, pudore, timidezza’’, un concetto in cui ho sguazzato per gran parte della mia vita. Ho sempre pensato di essere una persona timida, in realtà non ero certa di poter dire quello che avevo da dire, non ero certa ci fosse lo spazio. E invece poi gli spazi si costruiscono passo passo, riappropriandosi anche di quei luoghi fisici o mentali che per qualche motivo ci sono stati sottratti. Quindi via, basta, nuova fase, nuovi occhi e niente filtri.

 

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Molte delle tue canzoni affrontano temi di resilienza e autodeterminazione. C’è qualche brano specifico che senti rappresentare particolarmente la tua crescita personale e artistica?

“Redemption/Incendio” è una carezza potentissima, ogni volta che la canto e che la ascolto. Rappresenta il permesso che mi sono data di essere me stessa, di fluttuare libera.

C’è, invece, una canzone in particolare in “After Verecondia” che senti abbia richiesto un particolare sforzo emotivo o creativo durante il processo di realizzazione? Puoi condividere un po’ di retroscena su questa traccia?

“RNM” perché è un pezzo fastidioso. Parla di insofferenza e nervosismo con insofferenza e nervosismo. È una spremuta di tutti quei momenti della mia vita in cui ho voluto avere a tutti i costi ragione e non ho ascoltato niente e nessuno. C’è pure dentro il suono che si sente quando si fa una risonanza magnetica (RNM appunto, acronimo che però nella canzone sta per Raramente Non Mai), proprio perché volevo comunicare fastidio. E poi Carillo mi ha fatto cambiare diciotto volte il ritornello, poi ha tenuto quello originale e il nuovo ritornello è diventato lo special.

La sperimentazione musicale sembra essere una caratteristica chiave del tuo stile. Quali sono stati i principali elementi sonori che hai voluto esplorare in questo album e perché?

Ho voluto calcare un po’ la mano su due direzioni che erano già presenti in GDV: la classica forma canzone pop intensa e melensa e il pezzaccio un po’ trap un po’ rap ma comunque tamarro. Prima restavo vaga, in mezzo, invece con AV ho voluto andare in modo più deciso un po’ di là e un po’ di qua. Non so nemmeno se voglio scegliere tra queste due mie anime.

La tua musica sembra abbracciare una varietà di generi e influenze. Quali sono alcune delle tue principali ispirazioni musicali e come si riflettono nel tuo lavoro più recente?

Va beh, Rosalia tutta la vita, Motomami mi ha uccisa, e già ero morta con El Mal Querer. Nathy Peluso è un’altra che mi ha folgorata, e pure Caroline Polachek. E poi Hyde, Saya Gray, Daniel Cesar, C. Tangana, Sevdaliza…Sono tutt* artist* che in qualche modo mi hanno liberata dai preconcetti che mi ero fatta su me stessa. Mi hanno mostrato che bisogna provare a essere tutto, ogni cosa possibile, bisogna trasformarsi.

Come hai sviluppato il tuo stile musicale unico nel panorama odierno e quali sfide hai dovuto affrontare lungo il percorso per arrivare alla tua attuale espressione artistica?

Personalmente penso che le sfide più grandi che ho dovuto affrontare siano derivate più che altro da limiti che mi ero autoimposta (e che forse arrivano un po’ anche dalla società); pensieri su come pensavo di voler/dover essere, sulla musica che pensavo di dover fare, sulla vocalità che dovevo scegliere, sulle parole da usare, sulle sonorità.

Oltre alla musica, sembra che tu abbia anche un forte coinvolgimento nell’aspetto visivo del tuo progetto. Come la tua estetica si intreccia con il messaggio e lo spirito della tua musica in questo nuovo album?

Sì, per me è molto importante cercare di fare in modo che chi mi ascolta veda quello che vedo io quando scrivo o quando canto. I pezzi hanno dei colori, hanno degli habitat, io mi trasformo, mi mimetizzo e mi nascondo in questi mondi. Per passare poi da qui al concreto mi confronto sempre con Veronica Moglia, Art Director del mio progetto dai primi singoli. Collaboriamo poi con altre importantissime figure come stilist*, stylist, make-up artist e fotograf* e diamo vita all’immaginario del progetto, che esce dalla mia testa e diventa tangibile. Per questo disco abbiamo collaborato con Irene Trancossi, fotografa, e Laura Maria Tonelli, stylist; insieme a Veronica mi hanno permesso di costruire tutto ciò che di AV è visibile (affrontando shooting interminabili, tafani e temperature proibitive).

Il tuo percorso artistico è stato contraddistinto da numerosi riconoscimenti e opportunità significative con spazi importanti di visibilità nei programmi e playlist delle più importanti piattaforme digitali. Quali sono i prossimi obiettivi che ti sei prefissata e che direzione ti vedi prendere nel prossimo futuro, sia musicalmente che personalmente?

Spero di continuare a godere del privilegio di fare musica, che vuol dire avere tempo e soldi a disposizione per scrivere, registrare, produrre e portare in giro il proprio progetto. Spero di collaborare sempre più spesso con artist* che stimo e di farmi ispirare e sfidare a oltrepassare i miei limiti. Mi piacerebbe molto anche lavorare come autrice, costruire pezzi da zero pensando a un’altra persona che li interpreti. E poi sogno i grandi festival come il Primavera Sound, sogno di suonare fuori dall’Italia e di piantare piccole radici un po’ ovunque.

 

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