Intervista a Lorenzo Lepore: “Scrivo canzoni per donarle al pubblico”

Lorenzo Lepore Malincomia

“MalincoMia” è l’ultimo singolo di Lorenzo Lepore. Un brano che spazia tra sonorità e tematiche diverse confermando la personalità eclettica e versatile dell’artista, vincitore del Premio Amnesty Sezione Emergenti 2022. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare qualcosa di più sul suo progetto.

 

Abbiamo incontrato Lorenzo Lepore, giovane cantautore della scuola romana dalla penna matura. Vincitore del Premio Voci per la Libertà – Una Canzone per Amnesty, di cui Indieffusione è partner, Lorenzo ha recentemente lanciato il suo ultimo singolo “MalincoMia”, un brano intimo ma brillante che mette in musica la vita di un ragazzo che mette in musica, le sue paure e le sue insicurezze. Ce le racconta nella nostra intervista. 

 

Ciao Lorenzo, benvenuto! Sei reduce dall’uscita del tuo nuovo singolo “MalincoMia”. Spiegaci meglio questo gioco di parole che dà il titolo al brano.

La mia è un tipo di malinconia molto personale (non a caso la mia canzone si chiama “MalincoMia”). Canto di una tristezza che alle volte riesce a strapparti un sorriso. È un modo di vivere il mio. È pigrizia, dipendenza, paura, bisogno d’amore e tante altre cose che piovono nella vita di una persona che non può far altro che ironizzare su quest’ultima, cantando delle sue piccole disgrazie.
Un trascinarsi fra i problemi della vita mettendo in musica anche i momenti di difficoltà.
Amo definire questa canzone la più allegra ma allo stesso tempo anche la più triste che abbia mai scritto.

Quali sono le tue chiavi personali per superare quei momenti di malinconia?

Domanda attualissima! Non lo so. Ci sto lavorando proprio in questo periodo con il mio psicologo. Al momento sto tentando il più possibile di non ruminare sulle cose della vita e fare pace col fatto che in certi periodi tendo particolarmente a buttarmi giù. Credo che parlare sempre con qualcuno dei nostri problemi sia salvifico e che l’amicizia in generale rimanga l’antidoto anti depressivo più potente di qualsiasi tipo di medicinale o terapia.

Questi momenti di malinconia di cui parla il testo nel brano sembrano essere esorcizzati da un sound più up e fresco. É un contrasto voluto e perché?

É esattamente così. Non saprei perché ho generato questo contrasto. Mi è sorto spontaneo e me ne sono accorto quando ad “Officina Pasolini”, la mia vecchia accademia, ho fatto ascoltare ai miei compagni di corso questa canzone.
Appena è finita un mio compagno mi ha gridato: “E meno male che si chiama Malinconia!”, o una cosa del genere. È scoppiata una risata e da lì ho capito che avevo, senza volerlo, generato questo contrasto.

Come si è svolta la lavorazione del brano in studio e da dove siete partiti con l’idea di vestire il brano di un arrangiamento energico ma al tempo stesso genuino?

Questa canzone, come del resto molte mie altre, nasce chitarra e voce. Infatti comincia in acustico (come fossi da solo a cantare nella mia stanza) e poi entrano vari elementi a rispondere puntualmente alle parole del testo. Da un malinconico pianoforte doppiato da uno strumento a corde suggerito da Matteo Costanzo, al suono di una bottiglia rotta e quello della spia di un auto campionati. Poi entra una ritmica incalzante che caratterizza il pezzo fino a quasi esasperarlo con l’arrivo dell’orchestra. Rimane comunque un arrangiamento moderno ed essenziale, che mi sta anche dando modo di passare spesso in radio. Prima erano presenti alcuni “synth” che strizzavano l’occhio al mondo “Indie” che successivamente ho voluto rimuovere perché a mio parere non mi calzavano bene addosso. Non devo dimenticarmi da dove provengo ma soprattutto adoro andare controcorrente ed essere originale. La genuinità rimane perché comunque è una canzone in buona parte suonata. La definirei un giusto incontro tra la tradizione e l’innovazione.

 

 

Qual è il valore aggiunto della collaborazione con la tua etichetta T-Recs nella tua musica e quanto è importante avere una squadra di lavoro a supportarti?

È un valore pazzesco. Lavorare con Tony Pujia è stata per me una salvezza. Mi sono ritrovato ad avere a che fare con una persona profondamente amante della “canzone d’autore”, di un genere che pone nei testi una centralità e in cui la credibilità è essenziale. Lavorando da solo, o con persone che avrebbero inseguito successi istantanei, sicuramente non sarei stato in grado di ponderare alcune scelte produttive fondamentali al il mio percorso. Tony poi, produce Samuele Bersani da molti anni, che è uno dei miei maggiori punti di riferimento da sempre. Un’anima unica e svincolata da qualsiasi tipo logica di mercato e sicuramente uno dei migliori cantautori viventi. Credo che meglio di così proprio non mi poteva andare.

La scorsa estate sei stato vincitore del Premio Amnesty, di cui Indieffusione è partner, con il brano “Finalmente a casa” dedicato ai senza tetto. Cosa ha significato per te essere portavoce di un tema legato ai Diritti Umani in questo periodo storico?

Il Premio Amnesty è stato per me un’esperienza unica. Quando la mia musica supporta contesti così importanti assume per me il valore più alto a cui possa ambire. “Finalmente a casa” è un pezzo del mio cuore e della mia vita. È la storia di uno dei tanti senza tetto che ho avuto modo di conoscere in un’esperienza di volontariato con una Onlus a Roma. Un’esperienza che mi ha cambiato la vita. È il racconto tragico di un uomo che cerca una casa. È la lotta più grande contro il fatto che quest’ultimo trovi una casa solo nella sua “dipartita”. La mia musica si batterà sempre per la vita e per i diritti. Cantare di questi temi è solo il minimo che possa fare. Continuerò a dare voce con le mie corde e con le mie mani i senza tetto così come tutti gli esclusi.

Per quanto riguarda la musica dal vivo: come cantautore quanto è importante per te la relazione con un pubblico in carne ed ossa che viene ad assistere ad un tuo concerto?

Non è solo importante, è fondamentale. Scrivo canzoni con lo scopo di donarle a un pubblico fatto di carne, ossa ed di idee. Il mio compito, o almeno quello a cui ambisco, consiste nel donare qualcosa a qualcun altro. Far si che le mie parole parlino oltre che a me stesso, alla gente in grado di accoglierle. Punto a generare viaggi interiori per le persone che ho davanti, con la speranza di invitare ad ascoltarsi da dentro. Che le mie urgenze possano diventare le urgenze di molte più persone. Dai temi sociali, alla voglia di gridare o quella di innamorarsi. Sono molto fortunato a fare questo “mestiere”.

Stai lavorando ad un nuovo disco? Cosa possiamo aspettarci dai tuoi prossimi passi?

Sto lavorando in studio al mio primo disco. Un contenitore di emozioni, grida, idee, paure, speranze e tutte le cose della vita che mi hanno reso la persona che sono fino ad oggi.
Dire che sia una tappa importante per me è riduttivo. Non faccio che suonare e scrivere da 12 anni a questa parte, e, sapere che queste canzoni tra qualche mese saranno finalmente di tutti è un elemento necessario oltre che bellissimo. Poi lo suonerò dal vivo e cercherò di raccogliere tutto ciò che mi tornerà indietro. A prescindere da come andrà credo che per me sarà per un successo. Parlo di un successo personale che non ha a che fare con le copie vendute. Una consapevolezza in più e una gioia senza rimpianti, senza malinconie.

 

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