Intervista ai The Winstons : in tour per celebrare 50 anni di Pink Floyd

The Winstons

Abbiamo intervistato i tre The Winstons che, dopo il tour di presentazione del loro primo album, tornano sui palchi italiani per celebrare in una speciale formazione, i 50 anni di The Piper At The Gates Of Dawn dei Pink Floyd

Avevamo già apprezzato i The Winstons dal vivo sul palco del Monk a Roma durante il live di presentazione del loro primo disco omonimo. Il trio composto da Roberto Dell’Era, Enrico Gabrielli e Lino Gitto, torna insieme a Marco Fasolo (Jennifer Gentle) e Alberto Ferrari (Verdenaper reinterpretare “The Piper at the Gates of Dawn”, album di debutto dei Pink Floyd, pietra miliare del rock psichedelico, che ha recentemente compiuto 50 anni. Ecco la nostra intervista alla band !

The Winstons

Ciao ragazzi! Parliamo di questo “gig” che, ormai da un mese, con i Winstons e la collaborazione speciale di Marco Fasolo e Alberto Ferrari state portando in giro per l’Italia per celebrare 50 anni di Pink Floyd ma soprattutto i 50 anni di The Piper At The Gates Of Dawn dei Pink Floyd,  un album considerato pietra miliare del rock e manifesto della psichedelia. Innanzitutto da chi di voi e come è nata questa idea?

[Lino Gitto] Stavo parlando con un tipo di Milano a proposito del cinquantesimo di The Piper e si è proposto di metterlo su. Poi non si è più fatto con lui ma ho chiamato Marco e Alberto, che erano gli unici da poter chiamare per fare questa cosa, e siamo partiti con la formazione a cinque.

In che modo questo disco ha influenzato il sound dei The Winstons e il vostro modo di comporre?

[Lino Gitto] Sicuramente dal vivo ne abbiamo preso le improvvisazioni. Ci hanno influenzato anche i dischi successivi dei Pink Floyd ma questo è stato particolarmente influente.

Ai vostri concerti non ci sono solo i nostalgici di quel sound, ma anche giovanissimi. Cosa li affascina secondo te? La nostalgia di non aver potuto vivere (per ragioni anagrafiche) la rivoluzione musicale di quegli anni?

[Lino Gitto] Penso che vedere uno spettacolo del genere con dei musicisti che spaccano sul palco sia comunque una bella esperienza per i giovani. Non so cosa pensino ma, se a loro piace, a me fa piacere. Anche io ho scoperto quella musica più tardi perché non l’ho vissuta direttamente ma rimango sempre affascinato dalla sperimentazione del suono e spero sia la stessa cosa per loro.

Cosa c’è nel futuro dei Winstons?

[Lino Gitto] Ci stiamo divertendo un sacco ! Stiamo registrando un nuovo disco a Londra che uscirà chissà quando e poi adesso è uscito un altro nostro lavoro che è Pictures At An Exhibition per la collana di musica contemporanea che si chiama “1940” di Enrico e Sebastiano De Gennaro. È un album di Classica mezzo Rock.

[Enrico Gabrielli] Andrew Quinn è quello che ha avuto l’idea iniziale sul progetto Pictures At An Exhibition perché lui è un visual artist che fa sostanzialmente sound reacting video. Aveva già presentato Pictures At An Exhibition con l’orchestra nella versione originale di Ravel poi disse a me che avrebbe voluto farlo anche nella versione di Emerson Lake and Palmer. Abbiamo fatto uno strano mix tra i due, una specie di restauro, e poi Andrew ha messo on line, solo per gli abbonati di 1940, un link al film intero. È un’esperienza psichedelica nel senso più vero del termine: immagini astratte che arrivano dal buio di una stanza fino ad un gigantesco sole.

Fine anni 60. Londra, Canterbury, San Francisco. Tre città palcoscenico di un fermento culturale e musicale che ha lasciato tracce indelebili in tutta la musica moderna. Ritieni che oggi siano individuabili centri nevralgici altrettanto importanti?

[Enrico Gabrielli] Internet (ride). Credo che sia quello ormai, è una megalopoli. Mah si, ci sono tante citta che continuano ad essere importanti e che sono sempre quelle da un certo punto di vista: Londra, Berlino, New York. Poi non credo oggi ci sia più una relazione tra società e mondo culturale come negli anni 60. Banalmente perché negli anni ’60 c’erano ancora le classi sociali…adesso società e cultura viaggiano su due binari completamente paralleli. Questa è una teoria che non è mia: suppongo che nei prossimi 10-15 anni non esisterà più nemmeno la moneta corrente, ma saremmo costretti a passare attraverso internet anche per pagare un caffé. Tra 100 anni si arriverà al collasso e si tornerà al baratto. Anche nella musica è così: l’oggetto che oggi si vende di più è il vinile, quando invece negli anni ‘60 non avrebbero mai scommesso che sarebbe sopravvissuto.

Riesci ad individuare nella scena musicale contemporanea esempi interessanti di ricerca come quelli che hanno portato non solo i Pink Floyd ma anche Robert Wyatt con i Soft Machine, i Traffic, i Caravan o i Grateful Dead per spostarci oltreoceano, a realizzare album meravigliosi e innovativi?

[Roberto Dell’Era] È pieno di cose interessanti che però hanno scarsa visibilità. A mio gusto la musica ha un’importanza quando è ramificata ed è trasversale, quando porta qualcosa come sono stati i movimenti musicali della storia della musica popolare moderna della metà del 900…la diffusione del rock’n’roll, che è stata fenomeno socioculturale dirompente, il punk o la black music che oggi ha un ruolo sempre più importante. Oggi la black vende di più in generale e ci sono i bianchi che fanno musica nera piuttosto che il contrario. In Italia in particolare mi sembra che la musica sia diventata vittima di un meccanismo ribaltato e rispetto al resto del mondo qui siamo indietro perché non siamo un popolo rock’n’roll. Una volta erano le radio a doversi adeguare ai tempi che cambiavano e invece ora è l’artista che deve far un prodotto che sia radiofonico. Comunque ci sono un sacco di cose molto interessanti che avvengono nel sottobosco tra persone che si muovono e sperimentano. Ma non è che la gente ora sia più stupida di prima, semplicemente il mondo del commercio è un tritacarne enorme e questo vale per tante cose oltre alla musica.

A proposito: il tuo più prossimo collega Manuel Agnelli è giudice di X Factor. Da una parte è bello che porti il suo modo di pensare e di far musica in un contesto diverso. Altri invece lo hanno considerato come un cedere al sistema. Tu personalmente come hai preso questa scelta?

[Roberto Dell’Era] E’ovvio che il mio pensiero è viziato anche dal mio rapporto personale con Manuel. Quando ci ha detto della proposta per noi è stato uno schock. Ma a chi capita a 50 anni di avere un’esperienza di vita così grande che ti permette di aprire un sacco di porte, di guadagnare dei soldi, di dire la tua forse nella posizione ideale stando dalla parte del giudice? Manuel ha valutato un sacco di cose e noi lo abbiamo appoggiato e “ne sta uscendo” bene da questa esperienza. Il rischio è sempre quello: il controllo comportamentale, la dialettica…la tv comunque ti risucchia in un percorso che non è più quello della vita normale. Trovo la scelta di Manuel una cosa positiva perché sicuramente dentro ad uno scatolone televisivo ha portato qualcosa di buono per il suo modo di raccontare la musica e di saperci fare. Il risvolto è un pianeta fatto di social, dove esce il peggio dell’italianità e dove tutti possono prendere il controllo: un gioco abbastanza perverso. È una cosa che mi fa schifo ma è anche il rischio che poi uno si prende se vuole fare tv.

Questa occasione di suonare con due ospiti (Marco Fasolo e Alberto Ferrari), potrebbe spingervi ad allargare la formazione dei Winstons?

[Roberto Dell’Era] No, assolutamente no…noi siamo contro le chitarre (ride). I Winstons in futuro saranno sicuramente aperti a delle collaborazioni come con Marco e Alberto che sono due supertalenti, ma resteranno un trio.

The Winstons live Monk
Ph. Gianfranco Schetter

Qual è il tuo album preferito e perché?

[Roberto Dell’Era] Non ho un disco in particolare. Ci sono due o tre dischi che regalo sempre e quando fai un regalo deve essere una cosa di cui tu sei innamorato e che ti rappresenta. Tipo il terzo dei Soft Machine è quello che ho regalato di più, poi Angel’s egg dei Gong, oltre ad altri grandi classici. Mi ricordo di aver comprato il primo disco degli Stones: la prima scossa di rock’n’roll è stata con quello. E poi Elvis…tutti i primi singoli sono un toccasana.

Un’ultima domanda….nel mondo dei Floydiani spopola il tormentone: Waters o Gilmour? Si tralascia spesso il ruolo fondamentale di Barrett, le radici che ha piantato, seppur in così breve tempo, per la band e che ne hanno influenzato tutta l’evoluzione successiva. Tu da che parte stai?

[Roberto Dell’Era] No, non sto da nessuna parte (ride). L’idea di portare questo disco è venuta perché è stato un album epocale, fantastico. Poi era una band di super underground che, tramite qualche singolo, ha avuto la possibilità di diventare popolare, cosa bellissima e positiva in quel momento storico. Un disco ancora oggi molto fresco, manifesto della psichedelia e del garage punk evidentemente nato dopo una serie di concerti. Poi tutti odiano Gilmour, però anche lui è eccezionale. Invece Waters è quello che alla lunga è rimasto più cazzuto, al contrario di quelli che quando invecchiano tendono a sedersi.

#FollowtheNoise…

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