La promessa mantenuta degli Ella Goda

Ella Goda

Abbiamo intervistato gli Ella Goda, il nuovo progetto di Brian Zaninoni, Sebastiano Pezzoli e Marco Towers. Tre musicisti con alle spalle esperienze e ascolti diversi che si cimentano a modo loro con la difficile arte del power-pop, come accade nel primo singolo “La cura Schopenhauer” il cui videoclip è stato presentato in anteprima su MTV New Generation. Sanno assolutamente cosa vogliono fare gli Ella Goda e lo fanno da soli con un disco autoprodotto partendo dalle loro influenze, tra cantautorato, funk, brit e punk, portando un pezzo di America anni ’90 nella Valseriana (Bergamo) da cui provengono. A questo mescolano un gusto pop tipicamente italiano in curvature melodiche a presa rapida con robuste accelerazioni rock. Per costruire strofe argute e ritornelli killer di deliziosa perizia architettonica, irrorati con quanto basta di elettronica vintage e qualche citazione funzionale (l’omonimo romanzo di Irvin Yalom in “La cura Schopenhauer, una poesia di Marco Ardemagni in “Uomo o cosa“). Infine lasciano che le parole s’appoggino e scorrano sulle strutture con la (finta) semplicità di chi conosce la fatica artigianale di scrivere canzoni non solamente belle, ma anche nostre.

Ciao ragazzi, chi sono gli Ella Goda?

Siamo tre ragazzi della provincia bergamasca, Brian Zaninoni (voce, chitarra, pianoforte) Sebastiano Pezzoli (basso e sintetizzatore) e Marco Towers (batteria). Abbiamo tutti precedenti esperienze musicali alle spalle, abbiamo ascolti e influenze differenti, ciò nonostante abbiamo trovato da subito una buona alchimia musicale.

Da dove prende vita questo progetto?

Brian: Nel 2014 ho contattato Sebastiano e Marco perché nella mia mente pensavo che sarebbero stati una grande sezione ritmica. Avevo suonato occasionalmente con l’uno o con l’altro, la cosa sorprendente è stato scoprire che loro due non si conoscessero. Abbiamo quindi iniziato con le prime prove con l’obbiettivo di fare musica propria e con la promessa che avremmo continuato solo se il risultato fosse piaciuto a tutti e tre. Ci siamo trovati subito in sintonia, la maggior parte del tempo lo abbiamo speso nel cercare un quarto componente che curasse gli arrangiamenti, un chitarrista/tastierista, dopo un anno di provini e ricerche abbiamo deciso di occuparci anche di quelli.

Nel disco si ascoltano diverse influenze musicali. Da quali musicisti siete stati maggiormente ispirati?

Brian: Dico sempre che le mie influenze derivano principalmente dal rock anni 90, e dal cantautorato italiano e anglo-americano. Ma so benissimo che alcune ispirazioni possono arrivare inconsciamente da qualsiasi cosa ascoltata, letta o vista, anche casualmente e anche se è lontanissima dal proprio stile.

Sebastiano: Ho suonato troppi strumenti e troppi generi per avere qualcuno che più di tutti mi ha influenzato, vado a periodi. In questo periodo sono sotto con Bruno Mars che non c’entra assolutamente niente con noi! Di sicuro ho ascoltato parecchio negli ultimi anni il brit e gruppi come the Killers e Editors, me li hanno fatti conoscere e apprezzare, è un sound che a livello di band mi piace parecchio.

Marco: Sicuramente gli autori più importanti per me sono Franco Battiato, Paolo Conte, Lucio Battisti. Parlando di band sono un estimatore de Le Orme, gruppo che secondo me non ha mai avuto il giusto riconoscimento rispetto alle opere che hanno prodotto, riguardo al mio strumento, in fase di crescita sono stato molto influenzato dal drumming di Travis Landon Barker, Stewart Copeland e Christian Meyer.

Il videoclip de La cura Schopenhauer è finito diritto su MTV New Generation. Come nasce l’idea di questo video?

Brian: L’idea e la realizzazione è totalmente di See Mars, uno studio di Milano a cui ci siamo affidati. Conoscevamo una delle fondatrici e sapevamo della sua sensibilità musicale e artistica. Quindi le abbiamo affidato il brano e dato carta bianca. Alla fine siamo tutti molto soddisfatti del lavoro.

E il brano di cosa parla?

Brian: I titolo è un romanzo dello psichiatra Irvin Yalom. Sono rimasto affascinato dall’antagonista Philip Slate che è riuscito a curare i suoi disturbi comportamentali (sexaddiction) laddove la psicoterapia e la psichiatria avevano fallito, semplicemente seguendo il pensiero di Schopenhauer e la sua avversità verso i “bipedi”. Quindi mi sono chiesto se delle parole potessero veramente cambiare una persona nel profondo, rapportando la questione ad una relazione di coppia del giorno d’oggi.

Come nasce il disco (che poi è autoprodotto) ?

Brian: Siamo entrati in studio con le idee molto chiare, abbiamo registrato e missato il disco in 10 giorni, e anche il master è stato fatto da uno studio esterno in poche ore. La batteria e il basso hanno registrato in presa diretta, poi io ho aggiunto in sequenza le chitarre, il pianoforte e le voci. Infine tutti insieme ci siamo occupati degli arrangiamenti finali e del missaggio, aiutati dal fonico Fabio Intraina, abbiamo cercato di fare quello che fa solitamente un produttore artistico, non è stato facile immedesimarsi in ascoltatori esterni, ma comunque pensiamo di aver fatto un buon lavoro.

C’è un messaggio particolare che volevate comunicare con questo primo lavoro?

Brian:  I testi sono stati scritti in un arco temporale piuttosto ampio, quasi quattro anni,  per questo abbiamo dato come titolo al disco il nome della band, perchè è difficile trovare un collegamento testuale per tutti i brani. Discorso diverso per la parte strumentale alla quale abbiamo cercato di dare un legame, un suono identificativo omogeneo su tutto il disco. Messaggi particolari non ce ne sono, nei testi cerco di trasmettere sensazioni, belle o brutte, allegre o malinconiche, aggressive o dolci, poi spero sempre che l’ascoltatore possa sentire qualcosa in cui ritrovarsi.

State suonando dal vivo? Come vi trovate nella dimensione live?

Brian: nei live essendo solo in tre suoniamo 2/3 strumenti a testa, questo comporta una scheda tecnica abbastanza ingombrante, nonostante l’esperienza passata anche per noi è una situazione nuova e ci accorgiamo che dobbiamo restare attenti e concentrati su più fattori. Ciò nonostante i primi concerti sono andati molto bene, ci troviamo sempre più a nostro agio e dopo ogni esibizione abbiamo sempre maggiore consapevolezza dei nostri mezzi.

Marco: Suonare live è ovviamente la parte più importante, personalmente si sta dimostrando l’esperienza musicale più impegnativa e anche più stimolante alla quale abbia mai preso parte soprattutto per il fatto che Brian e Sebastiano mi lasciano totale libertà dietro le pelli.

Quali sono i prossimi passi che avete in mente di fare?

Brian: Per il momento promuovere il disco sempre di più con i live, non una quantità eccessiva, puntiamo a pochi palchi ma di qualità. Poi in autunno stiamo valutando di promuovere un secondo singolo con relativo videoclip per chiudere il nostro primo capitolo, così da tornare in studio nel 2018. In verità abbiamo già scritto alcuni brani che non vediamo l’ora di registrare.

#FollowtheNoise…

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