Intervista al Collettivo Ginsberg tra mambo e beat generation

Collettivo Ginsberg

Abbiamo intervistato Cristian, la voce del Collettivo Ginsberg. “Tropico”, l’album pubblicato lo scorso 30 settembre, rappresenta un punto di svolta per la band, un’idea che nasce da una visione: vedere la gente ballare, ballare e cantare.

Se “Asa Nisi Masa” (Seamount Productions, 2013), il precedente disco del Collettivo Ginsberg, è stato un viaggio oscuro dentro l’animo umano, il nuovo lavoro discografico vuole essere una riscoperta del mondo, un’ interazione con lo stesso, una laude alla natura, un rito antico: il ballo e il canto intesi come crinale espressivo del sentimento personale. “Tropico” diventa così un luogo privato, un’idea di luce oltre l’orizzonte, e noi ce lo siamo fatti raccontare direttamente da loro…

 

 

 

 

 

Perché il nome Collettivo Ginsberg? 

Perché volevamo mettere in piedi un’orchestra e, all’epoca, si era in trip con Allen Ginsberg!!!

Quanto siete legati alla beat generation?

Abbastanza direi, soprattutto per le tematiche letterarie e filosofiche che facevano da pilastro al credo del movimento che tanto ha saputo insegnare alle generazioni future e che ha spianato la strada al successivo periodo di controcultura e lotte da parte dei giovani nei confronti di una società ormai vecchia.

Come nascono i brani di Tropico?

Come nascono tutti i brani! Da qualche provino, jam in sala prove, altre idee che si aggiungono, ma soprattutto volevamo un disco che potesse far ballare (a modo nostro, chiaramente) la gente!

Perché la scelta di registrare in analogico nell’era del digitale?

Perché Alberto e io abbiamo aperto uno studio di registrazione completamente analogico, a Forlì, e ci sembrava la migliore occasione, nell’estate del 2016, per inaugurare il nostro Studer 8 tracce!

 Anche per gli strumenti vi siete mantenuti sul vintage…

Chiaro, la ricerca oltre che letteraria è anche ricerca sonora!

 

Collettivo Ginsberg

 

Come copertina avete scelto un lavoro di Domenico De Mattia. Perché un mandrillo urlante?

Perché Domenico è un amico e il mandrillo è uno dei suoi quadri più riusciti secondo me … e poi è stato un colpo di fulmine! E i colpi di fulmine sono per lo più inspiegabili!

Da dove derivano tutti questi stili fusi insieme in Tropico?

Semplicemente dalle nostre influenze personali e da una ricerca fatta sui ritmi latini, su ritmiche definibili world così da poter coniugare i diversi aspetti delle nostre personalità musicali in un unico lavoro.

Con tutte queste influenze rimanete comunque saldi alla radici della vostra terra: la Romagna. Come si lega il dialetto, che usate molto, con questa multiculturalità espressa nei suoni del disco?

Il dialetto è un dovere morale oltre che una bella scoperta per quanto riguarda una nuova lingua in cui poter esprimere poesia (perché di poesie si tratta, Baldini, Spallicci, citiamo a tutto spiano!)

La vostra musica esprime movimento, libertà, ricerca in altri posti lontani, ed è sicuramente molto distante da quello che sentiamo ogni giorno in radio. Come la vedete questa difficoltà per gli artisti di farsi strada musicalmente verso il grande pubblico, e voi come vi ponete?

Bel quesito! Ti anticipo che purtroppo non ho una soluzione e soprattutto ho grandi dubbi! per chi si fa musica? per se stessi? o per un pubblico? e se la si fa per l’uno o per l’altro, quali sono le logiche e i sentimenti che governano tali scelte? il successo di una canzone corrisponde alla sua reale bellezza? il pubblico ha sempre ragione? tutta questa fatica sarà ripagata? e se si, in che maniera? di certo so che abbiamo scelto una strada molto ripida ma con un bel panorama … non so dove ci porterà, noi continuiamo a salire!

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