Depeche Mode, le date italiane. Il sesso tra l’elettronica e il rock.

Depeche Mode Italia

Se c’è qualcuno che non ha bisogno di presentazioni quelli sono i Depeche Mode (“gazzettino di moda”). Per la prossima data che i DM faranno uscire assicuratevi di accaparrarvi per tempo un biglietto parterre! Noi vi raccontiamo la data di Torino del 9 dicembre 2017.

Basildon, un’ora ad est di Londra, è l’Essex da cui arrivano i membri di una band che ha reso indelebile il proprio nome nell’industria musicale degli ultimi trent’anni. Molti artisti o gruppi rimandano immediatamente al groove che li caratterizza, molti meno ad un genere musicale a sé, come nel caso dei Depeche Mode. Stile, sound e outfit ne hanno fatto una band di culto, seppure tra le più popolari.

Spirit” si aggiunge ai 13 album in studio che si susseguono da “Speak and Spell” del 1981 fino al penultimo “Delta Machine” del 2013. Se nei primi anni ’80 il loro sound è legato al pop e ai sintetizzatori, l’intermezzo rappresentato da “Black Celebration” segna la maturazione artistica del gruppo, inquietante e malinconica, ma è nella successiva decade che i DM sorprendono con la tripletta “Violator”, “Songs of faith and Devotion” e “Ultra”: veri e propri capisaldi del groviglio post-punk elettro-rock synth-pop dark-industrial del decennio in cui si rivisita il concetto dell’ei fu elettronica.

Basta fermarsi all’ascolto dei soli brani di apertura di questi tre dischi per capire di cosa stiamo parlando: è sesso tra la musica elettronica e quella rock.

https://www.youtube.com/watch?v=NgFmgMfQEwM

Proprio la matrice avvenieristica ha fatto sì che questi dischi invecchiassero in gran stile, con un sound e un piglio che non sentono il peso del tempo, complici le tematiche intimiste a tinte forti firmate dal quel geniaccio di Martin Gore.

La produzione post 2000 ha i suoi picchi in “Exciter” e “Playing the Angel”, ma sono lavori che hanno già compiuto i loro 12 anni e non sono stati ancora raggiunti dai dischi più recenti.

A 55 anni di età questo eccentrico trio fa ancora scuola sul come si porta un Tour in giro per il mondo… e pensare che i DM sono rinati dalle proprie ceneri più volte, tanto che ci si chiede ancora come Dave Gahan sia sopravvissuto agli anni di autodistruzione e come l’intera band sia stata capace di reinventarsi dopo l’abbandono per disagio professionale da parte di Alan Wilder -master del sound DM e musicista dai gusti sopraffini- a seguito di un Devotional Tour (1993) tanto imponente quando devastante. I 15 mesi ininterrotti di tour spolpano la band e le sbattono in faccia il lato oscuro della fama, presentando il conto salatissimo della dismisura e della perdizione in cui fanno eco le fragilità personali, tanto che fuori dal palco ognuno è preda del proprio abisso e non è in comunicazione con gli altri, soprattutto il trio Gahan-Gore-Fletch. Si torna a respirare solo nel 1997 con “Ultra”, lasciando alle spalle dipendenze (soprattutto da eroina), tentativi di suicidio, riabilitazioni, paranoie, esaurimenti nervosi, crisi di panico e… un membro della band tanto rimpianto dai fan.

Ma così sono i DM: il contrasto tra luci ed ombre, per certi versi caravaggesco, in cui il rapporto odio-amore tra Gahan, Gore e Fletcher rimane vivo. Il contrasto è anche nella voce baritonale (profonda e scura) di Gahan con la musica e le liriche di Gore: un cocktail esplosivo che gli dà grande capacità comunicativa e complementarità artistica. Questo a sottolinearci come il successo non è solamente dovuto a talento, scelte ed intuizioni geniali, ma è un puzzle di elementi che si intersecano e si potenziano fra loro.

Bisogna ricordare che dal 2005, anno in cui ha scelto di iniziare a scrivere per svincolarsi dal ruolo di mero esecutore, Gahan può inserire solo tre brani d’autore a disco per clausola contrattuale. Dunque più che un vezzo da star, la sperimentazione in progetti paralleli diventa necessaria per la sua libertà di espressione: il bellissimo colore della sua voce e l’attitudine decisamente più rock si apprezzano nei lavori solisti, uno fra tutti l’album rock-blues ed electro-folk con i Soulsavers dal titolo “Angels & Ghosts”, del 2005. Un lavoro solido che non rincorre il passato, non svagheggia sul futuro, ma è onesto sul presente. Peraltro il vissuto del frontman è di quelli talmente intensi da rendere sempre credibile il suo storytelling.

“Spirit” è stato quasi interamente lavorato nel periodo pre-Trump con l’intento di scattare un’istantanea sarcastica ad una società che ha perso, per l’appunto, il suo spirito.

Si apre ammonendoci: “We’re going backwards / Turning back our history / Going backwards / Piling on the misery / We can track in all the satellites / Seeing all in plain sight / Watch men die in real time / But we have nothing inside / We feel nothing inside”.

E continua chiedendoci dov’è finita la rivoluzione, con un brano accompagnato in video da una parodia marxista e in live con scenografie di pugni alzati e bandiere bianche. L’invettiva procede con il brano “Scum”, guizzo ben riuscito come quello di “Wrong” di pochi anni fa.

Il disco è davvero un buon lavoro ma “non buca” abbastanza, forse perché i DM sono più autentici e/o innovativi quando parlano del pessimismo introspettivo e non di quello pubblico? Quest’ultimo infatti risulta espresso in sbuffi di rabbia piuttosto che in qualcosa di davvero interessante o perlomeno illuminante, se non addirittura preveggente – perché è questo invece l’intento che un (semi concept) album dovrebbe avere, no?

Si ha poi il dubbio che il bravissimo Anton Corbjin, fotografo ufficiale dall’86, stavolta non sia riuscito a tirar fuori il potenziale visual dell’album, o a graffiare come avrebbe dovuto fare una tematica del genere.

Con le dovute contestualizzazioni si può dire che suona ad oggi più convincente quel “People are people” sulle divisioni del muro di Berlino (“I can’t understand / What makes a man / Hate another man / Help me understand / People are people so why should it be / You and I should get along so awfully), oppure quelle mani che arraffano nel consumismo di “Everything counts” (“The grabbing hands / grab all they can / All for themselves after all / The grabbing hands / Grab all they can / All for themselves after all / It’s a competitive world / Everything counts in large amounts”).

Dopo il recente passaggio estivo negli stadi (Stadio Olimpico di Roma, Stadio di San Siro a Milano e Stadio Dall’Ara di Bologna) i DM sono tornati dalla leg americana per aprire quella europea invernale indoor del Global Spirit Tour, deliziando l’Italia con ben 5 date nei palazzetti di Torino, Bologna e Milano. E finalmente(!) perché l’indoor è una location decisamente più adatta alla loro musica che, a discapito di quanto si pensi, non rende bene nei concerti-kolossal (beh, questo è parzialmente vero e si rimanda allo storico concerto dell’88 al Pasadena Rose Bowl che chiuse il Music for The Masses Tour e diede inizio ad una nuova era per la band).

Ad aprire le danze sono i Pumarosa, un giovane gruppo inglese che convince il Pala Alpitur che piano piano si sta riempiendo. Segue la l’apprezzata campagna “Depeche Mode + Hublot are partnering with charity: water to help people in need”. Poi si spengono le luci.

Quando Dave Gahan, Martin Gore e Andrew Fletcher, accompagnati da Peter Gordeno e Christian Eigner, salgono sul palco non ce n’è per nessuno.

Il concerto decolla ma la voce di Dave parte un po’ in sordina, forse anche equalizzata male, e nonostante il gilet che ormai non gli conviene più togliersi conferma la sua leggendaria presenza scenica, con il solito vigore il suo “istinto ballerina” che ha fatto storia. Tanto schivo fuori dal palco quanto passionale -quasi animale- quando è in azione. Bella l’impennata live di “Cover me” con cui il palazzetto inizia a vibrare: il mood c’è, su e giù dal palco. Martin incanta nei suoi pezzi semi acustici e l’atmosfera si scalda fino all’esplosione che da “In your room” in poi scuote anche gli spettatori più sobri.

Per la prossima data che i DM faranno uscire assicuratevi di accaparrarvi per tempo un biglietto parterre !

“We’re flying high We’re watching the world pass us by Never want to come down Never want to put my feet back down On the ground!”

Setlist:

Going Backwards
It’s No Good
Barrel of a Gun (con un estratto da “The Message” di Grandmaster Flash)
A Pain That I’m Used To (in versione “Jacques Lu Cont’s remix”)
Useless
Precious
World in My Eyes
Cover Me
Insight (acustica, cantante da Martin Gore)
Home
In Your Room
Where’s the Revolution
Everything Counts
Stripped
Enjoy the Silence
Never Let Me Down Again

Bis:
Strangelove (acustica, cantante da Martin Gore)
Walking in My Shoes
A Question of Time
Personal Jesus

https://www.youtube.com/watch?v=keuXym_Vld8

#FollowtheNoise…

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